Estate 1997: Massimo Moratti fa il Babbo Natale e regala ai tifosi dell’Inter quello che, per molti, era il miglior calciatore sulla faccia della terra, Ronaldo, il vero Ronaldo. Il 31 agosto sono tutti lì per lui: San Siro si riempie di 62.000 tifosi nerazzurri pronti ad acclamare il numero 10. La scena, però, se la prende un altro nuovo arrivato alla corte di Gigi Simoni: ha il 20 sulle spalle, i tratti orientali e viene da Montevideo. Ci mette diciassette minuti a siglare i suoi primi gol al Meazza; mica male sto cinese…
Bang: bomba sotto il sette. Il secondo lo farà semplice, dai.. Be’, se considerate semplice una punizione di quaranta metri infilata ancora all’incrocio dei pali, sì: Recoba ha fatto un gol semplice. In Uruguay ci aveva abituato bene; avete presente il gol di un Messi 19enne contro il Getafe? Oppure il gol del siglo di Diego Armando Maradona contro l’Inghilterra a Messico ’86? Ecco, Recoba ha fatto lo stesso gol, ma in Uruguay, con la maglia del Nacional de Montevideo.
El Chino Recoba nasce calcisticamente nel Danubio, rivale storica del Nacional. Con la maglia bianconera mette a segno 32 gol in 41 partite: malino per un trequartista. Poi, in un solo anno con il Nacional, marca il tabellino 30 volte in 33 gare disputate. Moratti fiuta il fenomeno e versa 7 miliardi di lire ai Tricolores.
Eravamo rimasti a quell’Inter-Brescia: Recoba entra e decide la gara. Tutto molto bello, ma Álvaro perde la continuità: in campionato viene convocato in solo dodici occasioni, entrando in campo solo otto volte. Nonostante ciò, è una delle note più liete della stagione nerazzurra assieme al Fenomeno; la differenza tra i due, però, è sostanziale: uno arriva con la nomea del migliore al mondo, l’altro è un’incognita. E l’ignoto affascina sempre.
Piccola dimostrazione di quanto fosse devastante l’allora 21enne uruguaiano: dopo non essere stato convocato per undici partite, segna un David di Michelangelo con quel sinistro magistrale. Recoba controlla il suo piede magico letteralmente due metri dopo la linea di centrocampo, vede Raccagni fuori e lascia partire uno shuttle imparabile: da fermo, una conclusione da raccontare ai nipoti. Solo lui avrebbe potuto segnare una rete simile.
Come detto, però, non trova spazio. Così, decide di mettersi in gioco (sempre a modo suo, con uno spirito di sacrificio molto ridotto) al Venezia; all’indomani della sconfitta per 6-2 contro l’Inter, Recoba arriva tra le fila dei lagunari, che si trovano al terzultimo posto in classifica. I suoi 6 mesi in arancioneroverde? Una tripletta alla Fiorentina, 10 gol in 19 partite e Venezia tredicesimo in classifica. Forse è il caso di riportarlo in nerazzurro.
Tornato a San Siro, il Chino si conferma ad alti livelli: 27 partite e 10 reti. Quelle 10 reti, però, erano illegali, così come lo erano stati quelli a Venezia e la doppietta al Brescia nella sua prima gara in Italia. Illegali?
Lo chiamarono “scandalo passaporti”: un documento d’identità venne rubato dalla Motorizzazione Civile di Latina e fatto falsificare in modo da far giocare Recoba in giro per la Penisola. Fuori dal campo da febbraio ad ottobre, Recoba decise di patteggiare, ma fortunatamente quel sinistro non fu costretto a fermarsi per 6 mesi in una cella senza un pallone: l’uruguagio pagò circa 25.000 euro e tutto si risolse. Più o meno.
Niente più scandali, solo magie, come quella che arriva una settimana dopo il suo 26esimo compleanno: al 2’ Bobo Vieri lancia il 20 nerazzurro in velocità, Recoba controlla e scarta tutta la difesa della Roma, da Zebina a Cafù, infilando saracinesca Antonioli.
I bei gol si sprecano nel 2002 recobiano: un mese dopo infila un missile di sinistro contro il Piacenza, mentre a novembre, in tre giorni, piega Como ed Empoli, sempre con la stessa maledettissima (per gli avversari) traiettoria. Così forte che diventa scontato, oltre che guadagnarsi il titolo di pupillo di Massimo Moratti.
Con l’Inter, il Chino vince una Coppa UEFA, due Scudetti, due Coppe Italia e due Supercoppe Italiane, segnando 71 prodezze in 261 partite. Ma il suo palmarès non finisce qui.
Non vuole smettere di rincorrere quel pallone, perlomeno in Europa. Così, dopo l’ultima rete in nerazzurro (l’ennesima prodezza contro l’Empoli, questa volta direttamente da calcio d’angolo), Álvaro decide di rimanere in Italia. Va a Torino, per provare a portare la squadra di Cairo in Europa. Nell’unica stagione in granata, però, non riesce a raggiungere l’obiettivo: il Toro termina il campionato da 15esima, ma Recoba entra comunque nel cuore dei tifosi torinesi. Lo dimostra il boato dell’Olimpico nella gelida notte della doppietta dell’ex Inter, che segna anche un gol di destro, paradossalmente.
Gli otto minuti contro la Fiorentina segnano la fine della sua avventura italiana, fatta di molte gioie e tantissimi rimpianti per quello che sarebbe potuto essere il migliore al mondo.
“Non è stato il miglior giocatore al mondo solo perché non lo ha voluto”.
Parola di Sebastián Verón. Come dargli torto?
Dopo un’esperienza annuale in Grecia, al Paniōnios, Recoba sente il richiamo di casa. La vita è un ciclo, dicono in molti; be’, anche la carriera del fuoriclasse uruguagio lo è: prima torna al Danubio e poi, inevitabilmente, va al Nacional, dove vince due Scudetti, uno a 35 e l’altro a 39 anni: immortale.
“Se a Parque Central c’è una statua di Carlos Gardel non vedo perché non ne dovremmo fare una al Chino. È arrivato all’altezza di Dio”.
Così Eduardo Ache, presidente dell’amato Nacional de Montevideo.
La statua non è stata ancora plasmata, ma siamo certi che sarebbe creata dai migliori scultori: per la statua di un artista dal sinistro raffinato ci vuole classe ed eleganza, quella che non è mai mancata al Chino.
Cesare Milanti