Menino da Vila
Ott 30, 2024

Nel corso della storia, le divisioni giovanili del Santos hanno prodotto generazioni di grandi stelle: nomi come King Pelé, Coutinho, Pepe, Diego, Robinho e Neymar. Uno dei migliori prodotti di Vila Belmiro è stato l’attaccante Juary, che iniziò la sua carriera alla fine degli anni ’70 e in poco tempo da professionista raggiunse il calcio italiano. Era noto per la sua velocità e le tipiche esultanze del gol ballando con la bandierina d’angolo.

Nato nell’entroterra di Rio de Janeiro, Juary arrivò presto al Santos. Dopo aver superato un provino all’età di 14 anni, iniziò a vivere negli alloggi delle giovanili fino a quando non ebbe le sue prime occasioni nella squadra principale, nel 1977, un periodo in cui il Santos non stava attraversando un buon momento finanziario e non c’era più Pelé.

Nel Santos: la celebre esultanza intorno alla bandierina del corner

Dopo aver brillato al Paulista, Juary è apparso ancora di più nella finale della Coppa del Governo di San Paolo, contro l’Atlético Madrid: ha approfittato di un errore della leggenda Luís Pereira per segnare uno dei gol della partita, vinta dagli spagnoli. L’attaccante ha finito per diventare il nome principale della prima generazione dei “Meninos da Vila”, che vinsero il titolo statale nel 1978. Successivamente, Juary fu venduto al Tecos dell’Universidad de Guadalajara, in Messico, e fu addirittura convocato nella nazionale brasiliana nella Copa América del 1979. Fu solo nel 1980 che l’Italia incrociò il suo destino.

Un giovane Juary in Brasile, c’è anche Pelé

Quell’anno l’Italia riaprì i confini all’ingaggio di giocatori stranieri, dopo oltre un decennio di divieto stabilito dalla Federcalcio. L’ambizioso Avellino, che aveva esordito in Serie A due anni prima, scommise sul 21enne attaccante e così Juary fu uno dei primi brasiliani in Italia dopo la riapertura delle frontiere: gli altri erano Enéas (Bologna) ), Luís Sílvio (Pistoiese) e Paulo Roberto Falcão (Roma).

“Seppi del trasferimento all’Avellino su un aereo per Roma, dove mi avevano convinto a salire con l’inganno: dopo qualche bicchiere di vino, Nicola Gravina, manager che mi seguiva fin da ragazzino, confessò. ‘Dove cazzo è Avellino? Non ci vado’, protestai, ma lui sorrise: ‘Sai volare? Perché il paracadute non c’è’”.

In un’intervista rilasciata a La Stampa, Juary, ha ripercorso quello che fu un trasferimento alquanto particolare all’Avellino. Il brasiliano ha ricordato di non sapere dove stesse andando, né dove fosse la città irpina. Ma gli è bastato poco per sentirsi poi a casa.

Nell’Avellino, con il tecnico connazionale Luís Vinícius 

“Dopo un viaggio in auto da Fiumicino ero incuriosito, inquieto, dubbioso. Invece fu la svolta della mia vita, Avellino diventò casa e il presidente un secondo papà: nei momenti bui c’era sempre, negli affari bastava una stretta di mano. I tifosi, la città mi adottarono – ha continuato Juary – e la tragedia del terremoto ci unì ancora di più alla nostra gente. Volevamo portare un sorriso a chi aveva perso persone care o era rimasto senza un tetto. A volte, negli stadi ci urlavano terremotati: pensavano di offenderci, ci caricavano. Incisi anche un disco per beneficenza. Tutti i ricavi destinati alla ricostruzione e all’aiuto di chi non aveva più nulla”.

Le prime ore di Juary in Campania sono state curiose. Quando è arrivato per allenarsi, il presidente del club, Antonio Sibilia, ha chiamato il giocatore e l’allenatore, anche lui brasiliano Luís Vinício, per un colloquio. Ed è stato molto diretto, parlando al tecnico in italiano con un forte accento campano: “Sei sicuro che sia un giocatore? È piccolo, non può giocare… L’ho pagato 800mila dollari? Se non gioca entro tre mesi mando via te e lui!”, disse il vulcanico patron, passando i documenti a Juary, alto 1,69 metri e di corporatura esile, da firmare.

Con l’Inter a “San Siro”

Sibilia si era convinto delle potenzialità del Menino da Vila subito dopo l’esordio: in Coppa Italia, 4-1 al Catania e gol del brasiliano. Il leader poco dopo ne organizzò uno per Juary: a sua insaputa, lo portò in udienza in tribunale perché potesse incontrare Raffaele Cutolo, capo della camorra. Sibilia chiese al giocatore di regalargli una medaglia d’oro.

In due anni in biancoverde, Juary è diventato presto il beniamino dei tifosi del Partenio, per la sua personalità solare ed espansiva, oltre che per il suo stile di gioco, perfetto per una squadra che giocava in contropiede e lottava per evitare la retrocessione. L’attaccante è diventato famoso per la sua tipica esultanza da gol, in cui correva verso la bandierina del corner e faceva tre veloci giravolte.

In azione nell’Ascoli, contro la Roma all’ “Olimpico”

Al suo primo anno in Italia, il brasiliano ha segnato cinque gol nella lunga stagione degli irpini verso la salvezza, raggiunta ​​all’ultimo turno: cinque squadre erano a pari merito con 25 punti, ma per via degli scontri diretti l’Avellino si è salvato. Quell0o successivo è stato un campionato molto difficile per la squadra, che ha iniziato la Serie A penalizzata di cinque punti a causa dello scandalo Totonero, e anche per la regione, colpita da un terremoto di magnitudo 6,9 della scala Richter: sono rimaste oltre 280mila persone senzatetto, circa 9.000 rimasero ferite e quasi 3.000 morirono.

Dopo il superamento del torneo 1980-‘81, la stagione successiva fu un po’ più tranquilla per l’Avellino. La Serie A era molto competitiva nella metà inferiore della classifica e gli irpini si sono salvati per soli tre punti. Il capocannoniere della squadra in questa stagione è stato Juary, che ha segnato otto gol: uno contro la Roma, un altro contro il Napoli e due contro il Milan, che è retrocesso.

Juary con la Cremonese prima di una sfida contro la Roma. Nella foto ci sono anche Toninho Cerezo e Sebastiano Nela

Il successo di Juary portò al suo acquisto da parte dell’Inter nel 1983. La Beneamata era interessata a usarlo come merce di scambio per raggiungere l’attaccante austriaco Walter Schachner, del Cesena, ma le trattative non andarono avanti. Così il brasiliano finì per restare, e fece parte di un’Inter solida difensivamente (la difesa meno permeabile nel 1982-‘83), ma che aveva problemi nello spogliatoio, come i litigi tra i centrocampisti Evaristo Beccalossi e Hansi Müller. Juary ha giocato delle belle partite e ha stretto un buon sodalizio con il capocannoniere Alessandro Altobelli, giocando un totale di 36 gare e segnando quattro gol.

Pensate che dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, Juary è rimasto legato all’Avellino, la squadra che gli ha dato la sua prima occasione in Italia. Diventa opinionista per giornali e tv e spesso racconta i suoi approfondimenti sugli irpini. Quando l’Avellino ritornò in B, promise di fare il suo ballo celebrativo in un programma e lo fece in diretta, nonostante fosse già anziano. Ritiratosi, l’ex giocatore si è dedicato all’insegnamento ai ragazzi nelle scuole del Brasile e dell’Italia, oltre a far parte delle divisioni giovanili di squadre come Santos, Avellino, Potenza, Napoli e Porto. Nel 2009, Juary inizia la carriera da allenatore di squadre della sesta divisione italiana, per diventare campione del campionato regionale ligure nel 2012, con il piccolo Sestri Levante. Attualmente il Menino da Vila è tornato alle origini e lavora come valutatore per la base del Santos.

Ma torniamo al Juary giocatore. Ha trascorso solo un anno a Milano e ha finito per lasciare il club dopo l’arrivo di Ludo Coeck e Aldo Serena.

25 giugno 1987. L’attaccante lusitano Juary in azione nella gara tra Inter e Porto (0-2) valevole per il Mundialito per club; sullo sfondo, si riconosce il difensore interista Fabio Calcaterra

Juary viene ceduto in prestito all’Ascoli e trascorre anche qui una sola stagione nelle Marche, dopo un campionato in cui i bianconeri finiscono decimi. Juary realizza 10 gol e inizia segnandone due proprio contro l’Avellino, la sua ex squadra.

Juary in Brasile nel Moto Club

Nel 1984-‘85, Juary cambia ancora casacca e, ancora una volta in prestito dalla Beneamata, torna a vestire una maglia di colore alternativo per il calcio italiano: firma con la Cremonese, che ha rosso e grigio come colori sociali. L’esperienza però non è stata delle migliori e il brasiliano non è riuscito a giocare molto bene per la squadra allenata da Emiliano Mondonico. Lui e il difensore polacco Wladyslaw Zmuda furono ingaggiati per essere le stelle della squadra, ma finirono per subire l’onta della retrocessione.

La gioventù di Juary, dal Santos ai messicani dei Tecos (a destra)

Quando sembrava che non avesse più un grande futuro nel calcio, Juary finì per tornare all’Inter e fu ceduto al Porto, club dove avrebbe incontrato altri brasiliani che avrebbero giocato in Italia, come il centrocampista Elói (Genoa) e l’attaccante Casagrande (Ascoli e Torino). In tre anni con i Dragões, il brasiliano ha vinto cinque titoli e ha raggiunto l’apice della sua carriera, alzando la Coppa dei Campioni  e la Coppa Intercontinentale. Nella corsa al titolo del Porto in Coppa dei Campioni nel 1987 fu fondamentale: uscì dalla panchina, ricevette un passaggio da Rabah Madjer e segnò uno dei gol decisivi della finale contro il Bayern Monaco, vinta 2-1.

A 29 anni, Juary entrò nella fase finale della sua carriera da giocatore e iniziò a girovagare per diverse squadre. Ha giocato per il Portuguesa e il Boavista, in Portogallo, e ha avuto anche un ritorno senza successo al Santos. Per concludere la sua carriera, l’attaccante di Rio ha giocato anche nel Maranhão, per il Moto Club, e nell’Espírito Santo, infine per il Vitória.

Mario Bocchio

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