Un viaggio legato anima e corpo ai giallorossi. Roberto Pruzzo almeno sa di cosa parla quando ci propone la sua interminabile litania sull’amore per la maglia, senza avere questo pressante bisogno di baciare lo stemma del club cucito sulla casacca. Un matrimonio lungo dieci anni – insomma una carriera – con la Roma dopo l’esordio a Genova dove, come tutti sanno, non c’è un vero piacere a giocare lì anche se l’attaccante italiano non è nato molto lontano da lì, a Crocefieschi, un piccolo angolo di Liguria dove tutti si annoiano portando la propria croce.
Non proprio una benedizione per Roberto che sta recuperando il tempo perduto in campo all’Olimpico dal 1978 all’88. E questo è tutto dire: tre titoli di capocannoniere (1981, ‘82 e ‘86) sommati a quello ottenuto in Serie B con il Genoa (1976), Pruzzo scoreggia più in alto del culo per parlare grossolanamente, soprattutto quando la “Lupa” vince il titolo (1983) si classifica due volte seconda e vince la Coppa Italia (1980, ‘81, ‘84 e ‘86).
Non male ma non abbastanza per ottenere i gradi da titolare con la Nazionale. In azzurro Roberto Pruzzo si trascina dietro le sue sei sfortunate selezioni come un’anima perduta, dimenticato da Bearzot che sbuffa poco dopo il Mondiale di Spagna.
La grande macchia nera della sua carriera come la finale di Coppa dei Campioni persa in casa ai rigori contro il Liverpool nonostante il gol del pareggio. Una cortina di fumo che lo ha poi costretto, prima di una breve parentesi alla Fiorentina, a tuffarsi verso il grande schermo e le stanze buie.
Roberto si è rivolto al cinema, un cambiamento di carriera naturale per un giocatore italiano, e si è ritrovato protagonista di un adattamento di “Don Camillo”, con Terence Hill nel ruolo principale, insieme ai suoi compagni di squadra Carlo Ancelotti e Luciano Spinosi. Lo rifà ne “L’allenatore nel pallone” ancora con Ancelotti poi con Graziani e Chierico. Senza Terence Hill questa volta. E nemmeno Benny, del resto. Roberto nutre ancora rancore nei confronti degli inglesi che hanno danneggiato il suo impero.
Mario Bocchio