Romeo Benetti ha le sue colpe nel fatto che chi scrive faccia (o meglio abbia fatto, a tempo pieno) il giornalista sportivo. Ero un bambino di sette anni e mezzo, malato di morbillo, nel giugno 1978 quando l’Italia, anzi l’Italietta di Bearzot divenne inopinatamente protagonista del Mondiale argentino. Battuta la Francia, gli Azzurri travolsero l’Ungheria di Nyilasi con tre reti, l’ultima della quale segnata, con una staffilata da fuori, proprio dal baffuto centrocampista veneto.
E allora, a mamma che chiedeva cosa volevo che mi acquistasse in edicola per passare il tempo risposi: “Il Guerin Sportivo!”. E la rivista arrivò proprio con, in copertina, il nostro Romeo che batteva a rete.
Un racconto che faceva sorridere di gusto Benetti, quando gli ricordavo l’episodio negli anni a cavallo del 2000 quando, in una storica televisione ligure, Telecittà, commentavamo in diretta le partite di Sampdoria e Genoa. Perché Benetti era ed è tutto e il contrario di tutto.
Viene ricordato come il “killer di Liguori” senza contare che era, comunque, un giocatore di straordinaria generosità, abnegazione e ottima tecnica.
Del suo palmarès si sottolineano gli scudetti con la Juventus, gli anni al Milan e alla Roma, le 55 presenze in Nazionale ma mai la stagione che lo portò in orbita, proprio con la maglia della Sampdoria. Un anno che fu, evidentemente, illuminante per Benetti e famiglia visto che, a carriera conclusa, il “buen retiro” del roccioso centrocampista divenne Leivi, un ameno comune alle spalle di Chiavari, nel Levante ligure. E qui non si parlava solo di allevare canarini, passione inconsueta che proiettò il calciatore sulle pagine dei giornali extra sportivi, ma anche di coltivare la terra: e Romeo, con certosina pazienza si dedicava e si dedica a queste attività. Finita la carriera, prima di diventare appunto apprezzato commentatore televisivo e di essere inserito nelle classifiche all time dei calciatori più cattivi (pur essendo stato espulso relativamente poche volte, tre) Benetti ha tentato anche la strada della panchina con risultati abbastanza modesti (fatta eccezione per lo scudetto con la Primavera della Roma in cui primeggiava il Principe Giannini).
Ma di lui, della sua esperienza e della sua competenza, il calcio italiano non poteva fare a meno: ecco allora che, per vent’anni, è stata sua una delle cattedre a Coverciano dove si formano gli allenatori di domani. Sotto le sue “grinfie” sono passati, tra gli altri, Max Allegri e Antonio Conte. Che qualcosa della loro grinta in panchina dall’uomo con i baffi di Albaredo d’Agide, devono sicuramente aver preso.
Fonte: sportpaper.it