Leonardo Menichini, calciatore della Roma tra il 1976 e il 1978, ritornò sulla panchina giallorossa negli anni Novanta, insieme a Mazzone, cui ha fatto da vice per quattordici anni. In mezzo c’è la cavalcata di Carletto contro l’Atalanta, la qualificazione in Uefa con il Cagliari, il lancio definitivo di Totti, la scoperta di Florenzi. Questo e tanto altro nella sua intervista a Lamberto Rinaldi.
Da calciatore, a Roma ha condiviso lo spogliatoio con Agostino Di Bartolomei. Che ricordo ha di Ago?
“Una persona straordinaria, unica. La sua tragedia addolora tutti noi. Era un punto di riferimento nello spogliatoio per quello che sapeva trasmettere. Era ‘Il Capitano’. Anche se quando c’ero io a Roma la fascia era di Santarini, Agostino aveva qualità, personalità, faceva sempre interventi mai banali, era una persona di spessore. Già si capiva quello che sarebbe stato. Avrebbe potuto dare tanto al calcio”.
Quegli anni a Roma passò anche Walter Sabatini.
“Era nel mio stesso ‘gruppo’. Eravamo i giovani della squadra: io, Sabatini, Maggiora, Chinellato, Musiello, c’era anche un giovane Bruno Conti. Poi c’era lo zoccolo duro degli esperti, gente come De Sisti, Santarini, Paolo Conti, tutti nel giro della nazionale. Poi come dimenticare un campione come Francesco Rocca, che si fece male proprio in quegli anni. Un grande, fu una perdita immensa, venne a mancarci un giocatore unico, che non a caso chiamavamo ‘Kawasaki’ ”.
Che Roma era quella di quegli anni?
“Erano gli anni di una Roma con obiettivi bassi, in un periodo di transizione. Erano gli anni del presidente Anzalone. Facemmo due anni a metà classifica: 7° posto nel ’76-‘77 e 8° l’anno successivo. Piazzamenti che non potevano soddisfare i tifosi. Erano gli anni degli allenatori Gustavo Giagnoni, tecnico capace, e di Nils Liedholm, precursore del calcio futuro. Già all’epoca ripeteva il suo mantra: ‘se la palla ce l’abbiamo noi, gli altri non possono segnare’ “.
Poi l’approdo in panchina, da secondo di Carlo Mazzone. Che rapporto ha avuto con lui?
“Carlo è una grande persona, è stato il mio maestro. Mi ha insegnato un mestiere e mi ha dato l’onore di essere al suo fianco, lo ringrazierò sempre. Il primo incontro fu quando ero ancora calciatore. Era il 1978, Carlo Mazzone va ad allenare a Catanzaro e decide di acquistarmi dalla Roma. Dopo due anni va ad Ascoli Piceno e io ancora una volta lo seguo. Lì è nata la collaborazione, durata oltre 14 anni. La prima volta insieme fu a Cagliari, nel 1991. Mi chiamò, io avevo appena smesso di giocare. Accettai subito”.
E subito dopo Cagliari, ecco il ritorno a Roma.
“In Sardegna abbiamo fatto molto bene, al primo anno la salvezza, poi la storica qualificazione in Coppa Uefa, dopo 21 anni. Poi il presidente Sensi, appena arrivato, pensò bene di chiamare Mazzone sulla panchina. Il primo anno ci fu qualche difficoltà, la squadra non era attrezzata, ma già l’anno successivo arrivammo quinti e tornammo in Europa. Erano arrivati Fonseca, Thern, recuperammo Carboni. Poi c’erano Cappioli, Aldair, capitan Giannini. Furono anni molto belli. Ma non posso dimenticare una partita”.
Quale?
“Quella con lo Slavia Praga, nei quarti di finale di Coppa Uefa. Perdemmo 2-0 all’andata, al ritorno facemmo una rimonta clamorosa: eravamo 3 a 0. Poi il gol di Vavra…”.
E proprio quegli anni, a Roma, Mazzone lanciò definitivamente un certo Francesco Totti.
“Lo abbiamo lanciato noi, anche se aveva debuttato l’anno prima con Boskov. Il salto definitivo però con Mazzone. Ricordo che appena arrivati a Trigoria chiedemmo quale giovane c’era da poter aggregare in prima squadra. Roberto Pruzzo e Luciano Spinosi, che all’epoca era allenatore della Primavera, ci dissero: ‘C’è un ragazzo che è fantastico, si chiama Totti’. Lo portammo con noi, Mazzone appena lo vide disse: ‘Questo rimane con noi e non se move, diteglielo alla Primavera’. Fu così che alla prima di campionato, contro il Foggia, Totti gioca e segna. Il resto lo sappiamo”.
Tra le scene indelebili di Carlo Mazzone c’è la cavalcata contro i tifosi dell’Atalanta. E a rincorrerlo c’era anche lei.
“Eravamo al Brescia, la rivalità era acerrima. Eravamo sotto 0-3 e alcuni tifosi bergamaschi hanno cominciato a insultare Carletto. Facemmo il 3 a 1, ma eravamo sempre lì. Poi il 3 a 2. Si gira e gli fa: ‘Se facciamo il terzo vengo là sotto’. E lo fece. Io non pensavo partisse così. Ci ha pure distanziato, perché pensavamo facesse solo qualche passo e invece arrivò fino a sotto la vetrata. È indimenticabile”.
Tra i tanti giovani che ha forgiato, c’è anche Alessandro Florenzi. Cosa non ha funzionato tra lui e la Roma?
“Onestamente non lo so. So solo che è un grande professionista, sa fare tutto, sa giocare ovunque. Lo consigliai al direttore Ursino, pensavo fosse perfetto per il campionato di Serie B del Crotone. Io dicevo ‘paghi uno e prendi tre’. Gioca a centrocampo, con Zeman ha giocato mezzala, ora fa il terzino. Anche se lì, per la prima volta ce lo misi io. Era una sfida con il Lecce di Di Francesco, in Coppa Italia. Ero in difficoltà perché non avevo esterni bassi. Gli chiesi se se la sentiva a giocare dietro e lui mi fece: ‘Mister, che problema c’è?’. Fu uno dei migliori in campo. Poi la gara successiva, in campionato contro il Livorno, lo riportai a centrocampo. E fece gol”.
La foto sotto il titolo è tratta da LazioWiki