Arnaldo Porta è stato il primo grande oriundo brasiliano a giocare in Italia e questo fatto probabilmente è sconosciuto ai suoi connazionali e a molti italiani, ma i vecchi lo ricordano con grande ammirazione per quello che ha rappresentato per il calcio italiano.
Figlio di immigrati italiani, Julio Porta, un prospero operaio edile, e Amalia Bonetti, maggiore di cinque fratelli, nacque ad Araraquara, nell’interno dello Stato di San Paolo, il 6 ottobre 1896 e all’età di 10 anni comincia già ad interessarsi al calcio, a 12 già partecipa ai tornei del liceo che frequenta in città.
Nel 1911, poiché la madre non si abituava al clima del Brasile, la famiglia decise di tornare a Castelmassa, in Italia, città natale del padre in provincia di Rovigo.
Arnaldo Porta
Poco dopo la famiglia si trasferisce a Verona, dove il padre raggiunge il fratello nella sua carrozzeria. All’età di 15 anni e con tutta la vitalità della gioventù, Porta sente il bisogno di entrare in una squadra e si presenta ai dirigenti dell’Hellas Verona. Da giocatore sudamericano, è stato accettato subito e inserito in prima squadra, senza test, senza visita medica e senza contratto.
Nel 1912 dimostrò grandi doti e venne elogiato anche da Bepi Carlini, altro giocatore dell’Hellas, per l’impegno profuso durante la stagione e divenne presto la riserva del centravanti Bianchi, ma dopo l’esordio a Torino contro la Juventus, l’ammirazione dei tifosi aumentò. All’età di 17 anni, nelle stagioni 1913 e 1914, era già titolare, si distinse sempre per i risultati ottenuti dalla sua squadra e partecipò al campionato regionale. Essendo Hellas e Venezia, le rivali storiche del Veneto, sono finaliste e sui campi si combattono vere e proprie battaglie, ma Porta è sempre stato l’uomo forte. In tempi di tanti falli e cattive intenzioni in campo, Porta era una rarità in termini di correttezza e cavalleria e dotato di un’astuzia innata, capiva gli avversari nelle loro intenzioni di gioco, con una velocità sconcertante, dribblava e con un tiro preciso segnava gol. Sembrava addirittura uno scherzo. Quando l’Hellas affrontò il Vicenza in una partita memorabile, il suo rivale Valesella, pur non riuscendo a fermare l’avversario, lo ammirava per la sua gentilezza in campo. Porta ha segnato il gol della vittoria per l’Hellas e al suo ritorno a Verona il primo a congratularsi è stato niente meno che Valesella.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1915, Porta fu chiamato alle armi e trasferito a Gorizia, dove prese parte a tutto il conflitto, tornando a Verona solo al termine della stesso, nel 1919 e ancora in tempo per partecipare al torneo regionale del 1919-’20. Dalla stagione 1921-‘22 in poi Porta è il capitano della squadra. Considerato sempre un esempio di giocatore per i suoi meriti, nel dopoguerra gli venne offerto un posto presso la Banca Popolare di Verona, incarico che accettò.
Nel 1926 sposò Elide Bottacini, di Villafranca di Verona, dalla quale ebbe cinque figli, Liliana (1927), Carla (1930), Giulio (1933), Milla (1941) e Giorgio (1945).
Conclude la sua carriera nel 1932, fedelissimo all’Hellas, all’età di 35 anni, “imbattuto”, senza mai ricevere ammonizioni o rigori e riceve il titolo di “più grande marcatore della storia della squadra”, lasciando di sé un piacevole ricordo. In tutti, compresi gli avversari che lo conoscevano. Nel 1936 Porta fu direttore della filiale del Banco Popolare di Verona a Villafranca, dove si trasferì definitivamente con la famiglia. Una volta in pensione, sempre con uno spirito altamente sportivo, non si arrende e fa lunghe pedalate per mantenersi in forma e non smette mai di seguire il suo sport preferito. Questo era Arnaldo Porta, scomparso nel 1971.
Mario Bocchio