Sono ormai diciannove anni senza il personaggio Franco Scoglio. A ricoradarcelo un articolo di Diego Mariottini, nel quale traccia il ricordo di un allenatore anticonformista che odiava il comunicare e il giocare “ad minchiam”, come diceva quando qualcosa o qualcuno non gli andava a genio.
Francesco Scoglio, detto Franco, nasce a Lipari nel 1941. Negli anni 60 si laurea in Pedagogia e poco dopo insegna a Palmi, in Calabria, presso un istituto agrario. Nel mentre, gioca a calcio a discreti livelli. Vive una breve esperienza in campo con la Palmese, ma in mente ha altro. Vuole fare l’allenatore, si sente nato per insegnare. Per far giocare, più che per giocare. A poco più di 30 anni Franco Scoglio è un allenatore. Lo ha deciso e lo ha fatto. Ha a che fare con i ragazzi della Reggina, anzi, a ben vedere sono i giocatori che hanno a che fare con lui. Lo chiamano “il professore”, e non per presa in giro. Non avrà un carattere facile ma non è certo uno che usurpa titoli. Non sarà un fine diplomatico quando deve esprimere un concetto, ma s’intuisce presto che da lui c’è parecchio da imparare.
Nel 1973 allena in serie D, a Gioia Tauro. La Gioiese fa un ottimo campionato ma il secondo posto nel girone I non dà la promozione. Al suo posto passa il Messina, quello stesso Messina che l’anno successivo lo chiama. Scoglio sale così di categoria e nel campionato 1974-’75 allena in C. La squadra dello Stretto termina al sesto posto giocando un buon calcio, ma l’allenatore (guai a chiamarlo mister, non gli piace) non viene riconfermato. Eppure la squadra vince il derby fra Scilla e Cariddi sia all’andata che al ritorno. Questione di chimica fra le parti, forse. Il professore è bravo, ha competenza, ma andarci d’accordo è faticoso e di norma i presidenti amano figure più accomodanti.
L’anno dopo Scoglio è sulla panchina dell’Acireale. Retrocede ma la società non lo manda via. Lo solleva dall’incarico a metà della stagione successiva. Da qui un girovagare per l’Italia (C1, C2, Interregionale) quasi decennale. Poi nel 1984, il ritorno in pianta stabile a Messina. Il lavoro e il credo tattico stanno finalmente dando frutti. È testardo, ma con i giocatori è anche disponibile al dialogo e al confronto. A modo suo, ovvio. Convince la squadra che nel calcio moderno ci vuole sacrificio negli allenamenti, molta preparazione atletica, prove e riprove sulle diagonali e sulle palle inattive.
Fa suo il concetto di zona “sporca”, un misto di marcatura a uomo e a zona. È attento osservatore della tattica in altri sport, saccheggia in modo appropriato dal basket e perfino dal rugby. Va oltre il senso comune di circolazione palla. Nel 1985 si concede il lusso di battere la Roma in Coppa Italia. Il primo anno sfiora la promozione in B, nel 1986 la ottiene. È il primo a credere nelle capacità di un ragazzo palermitano con occhi spiritati e senso del gol, tale Salvatore Schillaci. Il secondo a credere in Totò sarà Zeman. Due campionati di media classifica in B e poi Scoglio lascia Messina.
Conosce Genova, sponda rossoblù, ed è amore a prima vista. Amore ricambiato, anche perché al primo tentativo il Genoa è promosso in A. Alla soglia dei 50 anni, dopo essersi spostato in continuazione da nord a sud della Penisola, Franco Scoglio entra nel calcio che conta e diventa un personaggio. Le sue interviste rompono gli schemi della comunicazione tradizionale. È uomo schietto e, come spesso avviene, non c’è nulla di più rivoluzionario (e scomodo) della sincerità. Al di là dell’avere ragione o meno. A volte farebbe bene a non tracimare nella brutalità, ma lui è comunque persona e allenatore che pensa chiaro e parla chiaro. Prendere o lasciare. E se si riesce a superare un primo impatto che lo fa apparire presuntuoso, ci si accorge che non è mai uno che parla tanto per farlo.
La serie A è dura e rimanere a galla, specie se non si è stati calciatori noti al grande pubblico, è impresa per allenatori tenaci e corazzati. Come Scoglio, per l’appunto. Per affrontare la massima categoria arrivano dal Sudamerica Aguilera e Perdomo. Uno si dimostra ottimo giocatore, l’altro no. Nella visione di gioco del tecnico, Perdomo dovrebbe essere il perno più avanzato di un rombo difensivo composto anche da Signorini, Torrente e Caricola. In pratica, il giocatore davanti alla difesa.
Una sorta di Pirlo ante litteram o una sorta di post Falcao, per come la vede il Professore. L’idea c’è, il calciatore un po’ meno. In ogni caso, il Genoa arriva all’undicesimo posto e si salva dalla retrocessione senza particolari patemi.
Si viene a formare il primo nucleo della squadra che con Osvaldo Bagnoli farà grandi cose nell’European Tour 1991-’92 (semifinalista di Coppa Uefa). C’è Eranio, c’è Signorini, c’è Ruotolo. Il ceco Skuhravy arriva dopo Italia ’90 a fare coppia d’attacco con Aguilera. Nel ’90 Scoglio va a Bologna ma dura solo 6 partite. La squadra non è all’altezza e cambiando l’ordine degli allenatori la retrocessione non cambia.
Anzi, non si evita. Nulla potrà neppure Gigi Radice, che prende il posto di Scoglio dalla settima d’andata. In seguito il Professore allena anche Udinese, Lucchese, Pescara, Torino, Cosenza e Ancona. Nel 1993, a sbornia europea consumata per i rossoblù, il professore torna sulla panchina del Genoa. Obiettivo: evitare la retrocessione. La squadra si salva e per la curva Scoglio diventa “uno di noi”. E lo rimarrà per sempre, anche dopo che il tecnico sarà stato esonerato alla decima giornata del campionato 1994-’95. Alla fine del millennio Franco Scoglio vive un nuovo amore calcistico, l’Africa.
La sera del 3 ottobre 2005 il professore si trova negli studi di Primocanale, televisione locale genovese. Con lui c’è anche Claudio Onofri, bandiera del Genoa anni 70 e 80. Prendono entrambi parte a una trasmissione sportiva. A Scoglio la gestione Preziosi non piace e tanto per cambiare, non la manda a dire. All’improvviso si accascia all’indietro sulla poltrona dove è seduto. I presenti pensano a uno scherzo, in realtà sta esalando l’ultimo respiro. Infarto fulminante. La trasmissione viene subito sospesa, si procede ai soccorsi ma ogni azione risulta vana. “Morirò parlando del Genoa”, aveva detto tra il serio e il faceto a un amico qualche giorno prima. Un privilegio riservato a lui e a Socrates (“Vorrei morire di domenica, nel giorno in cui il Corinthians vince il titolo”). Mica a gente “ad minchiam”.