Quelle tra Novara, Alessandria, Pro Vercelli e Casale non sono mai sfide normali e affondano le radici nella storia più bella e mitica del calcio italiano.
Il metodo di lavoro che George Arthur Smith, allievo di William Garbutt, applicò all’Alessandria presentava aspetti inediti per il calcio italiano dei primi decenni; introdusse allenamenti intensi e mirati, irrobustì il centrocampo arretrando due attaccanti per ispirare meglio la manovra offensiva ed insegnò un gioco corale basato su schemi e palla a terra.
Novara-Alessandria, campionato 1914-’15.
L’opera di Smith, morto durante la Prima guerra mondiale, fu ripresa da Carlo Carcano (che la esportò alla Juventus e in Nazionale), da Béla Révész (foto sotto a destra), Karl Stürmer (foto sotto a sinistra) e Umberto Dadone, e garantì alla giovane società diversi decenni di militanza ad alti livelli facendo affidamento su elementi provenienti quasi esclusivamente dal vivaio.
Alessandria andò così a comporre il “quarto lato” di quello che la Gazzetta dello Sport in un’inchiesta del 1914 definì il “quadrilatero delle università del foot-ball”, completato da Vercelli, Novara e Casale Monferrato, città dove l’”autodidattica calcistica” aveva avuto come inaspettato risultato una “sicura marcia ascensionale di unità che fino a ieri erano confinate in una categoria inferiore”, contro cui nulla potevano “il rinnovarsi e l’intensificarsi della forza degli squadroni maggiori”.
Formazione dell’Alessandria FBC, 1914. Dal basso e da sinistra: Ferrari (Ferrarino), Milano I, Pelizzoni, Ticozzelli, Savojardo, Carcano, Lazoli I, Torricelli, Grillo, Dellacasa, Bosio, Smith.
Novara-Alessandria, campionato 1986-’87.
Il giornale notava che una realtà di provincia poteva attuare “una sorveglianza diretta della sua squadra”, e che il giovane calciatore “nella piccola cerchia della vita cittadina che si alimenta delle nuove tradizioni sportive e le difende ad oltranza”, lontano dalla “tumultuosa e pericolosa vita scapigliata”, era pressoché obbligato “a spendere le ore di svago e di riposo nei quotidiani esercizi di allenamento”.
Mario Bocchio