Il 28 marzo del 1939, a Vigevano, nasceva Giambattista Moschino, futuro calciatore e regista granata, forse uno dei più forti e determinanti in assoluto, che ha lasciato un segno indelebile nel Toro nel periodo in cui ha militato. Praticamente tutti gli anni ’60.
Cresciuto nelle giovanili del Novara, approda in prima squadra in giovanissima età, colleziona ottanta presenze e addirittura venti gol che gli permettono, appena ventenne, di essere notato dal Toro. Viene così acquistato e si trasferisce sotto la Mole per la stagione ’59-‘60.
L’inizio della nuova avventura non è esaltante. Il ragazzo ha bisogno di qualche tempo per ambientarsi, e dunque nei primi tra anni vive due parentesi lontano da Torino: una in prestito proprio a Novara, un’altra invece nella capitale, sponda Lazio. Quando fa ritorno in granata, però, arriva per fare la differenza: vi rimane ben sette stagioni, arricchite da oltre 200 presenze e 22 gol.
Sinistro naturale, chirurgico, dettava i tempi della mediana granata come pochi altri erano in grado di fare. Nereo Rocco lo definì “un cervello in mezzo al campo, un genio del football”.
Peccato per i continui disturbi al ginocchio e per la scarsa considerazione della Nazionale: chiunque riteneva che in carriera avrebbe meritato di più.
La sua più grande soddisfazione con il Toro si chiama Coppa Italia: nel 1968 riesce a conquistare il trofeo, segnando anche ai quarti di finale contro il Catanzaro.
Termina la sua carriera di nuovo alla Lazio, dopo un’esperienza al Verona. Appesi gli scarpini al chiodo, non riuscirà ad avere lo stesso successo anche da allenatore. Una cosa è certa però, la maglia granata gli è rimasta cucita addosso.
Fonte Toro News
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