Entrambi sono stati i cannonieri dei Mondiali, entrambi con sei reti. In Spagna nel 1982 e in Italia nel 1990. Sono stati fatti tanti paragoni con Paolo Rossi, ispiratore della vittoria dell’Italia al Mundial spagnolo.
“Rossi era un campione”, ha sempre detto Schillaci, sin da quando gli fecero la domanda la prima volta, alla vigilia della semifinale contro l’Argentina che l’Italia avrebbe dovuto vincere. “Sono un ragazzo semplice e umile. Spero solo di poter continuare a fare quello che ho sempre fatto”.
E così ha fatto, aprendo le marcature come un bracconiere, ma quella volta non è bastato. L’Italia era rimasta 499 minuti senza subire gol , poi un pasticcio e la favola finì quando venne eliminata ai rigori dall’Argentina di Diego. Tutti i giornali in Italia titolarono “Fine di un sogno”, mentre Gazzetta e Corriere dello Sport pubblicarono semplicemente “NO” a grandi lettere in prima pagina.
“Abbiamo meritato di vincere”, ha sempre creduto Schillaci. “Penso che se avessimo battuto l’Argentina, avremmo vinto la Coppa del Mondo”.
Ma la storia di Schillaci non finì lì. Il giorno prima che la Germania Ovest battesse l’Argentina in finale, segnò il suo sesto gol nella finalina per il terzo posto contro l’Inghilterra, superando il ceco Tomáš Skuhravý come capocannoniere del torneo.
“Dopo il torneo sono andato in un posto tranquillo. Tutti volevano un pezzo di me, ma io volevo solo allontanarmi da tutto, soprattutto dopo il dolore della sconfitta in semifinale”.
La prossima volta che avrebbe fatto notizia, sarebbe stato per un motivo meno gustoso. Nel novembre successivo venne squalificato per una giornata per aver minacciato di sparare a Fabio Poli dopo che il giocatore del Bologna gli aveva dato un pugno durante un alterco in campo.
A quel punto anche gli obiettivi si stavano esaurendo. Di gol ne aveva segnati solo cinque in campionato nel 1990-‘91 e sei nella stagione successiva. Un trasferimento tormentato da un infortunio all’Inter nel 1992 non è riuscito a rianimarlo e ha concluso la sua carriera in esilio – anche se redditizio – come il primo italiano a giocare nella nascente J-League giapponese.
Pablito è stato tutta un’altra cosa. In campo indubbiamente aveva più tecnica nel finalizzare, si ripropose con tanta rabbia dopo il periodo difficile del calcioscommesse. E soprattutto fu determinante nel vincere il Mundial.
“Appena vinto il Mondiale la prima cosa che ho provato non era tanto la felicità, ma il rimpianto che fosse già finito” disse. Le ginocchia lo tradirono e lui abdicò per Gianluca Vialli, che era un’attaccante di manovra.
Avrebbe dovuto essere lui il punto di riferimento a Italia ’90, invece ci arrivò fuori forma e gli Azzurri trovarono Totò, che prima della Juventus aveva segnato gol a grappoli nel Messina. E proprio dalla città dello Stretto erano state inviare diecimila cartoline alla “Gazzetta dello Sport” per chiedere al Ct Azeglio Vicini la sua convocazione.
Mario Bocchio