Giocò con Inter, Catania e Torino, e fermò Puskas in Nazionale, ma è da Ct che Bearzot ha scritto la storia del calcio vincendo i Mondiali del 1982.
“Enzo Bearzot è stato uno dei grandi italiani del Novecento, su questo non ho dubbi” disse Paolo Rossi.
Da calciatore poteva disimpegnarsi da mediano laterale o centromediano del Sistema, ed era uno bravo in marcatura, che restava incollato all’attaccante avversario e non gli dava tregua. Ha vestito, fra le altre, le maglie di Inter, Torino e Catania. Ma è nel ruolo di commissario tecnico della Nazionale italiana che Enzo Bearzot, soprannominato Il Vecio (Il Vecchio) dal giornalista e scrittore Giovanni Arpino nel suo libro Azzurro Tenebra, è stato il protagonista di pagine indelebili del calcio italiano.
Il tecnico friulano, assieme a Vittorio Pozzo, è stato senza dubbio il Ct che il popolo ha più amato. Dopo aver stupito il mondo per il gioco espresso dalla sua Nazionale al Mundial del 1978 in Argentina, trasformando una squadra di calcio in un gruppo vincente e riportando al top della condizione Paolo Rossi, compirà l’impresa in Spagna, nel 1982, portando gli Azzurri sul tetto del mondo con un gioco all’italiana concreto e letale.
Enzo Bearzot nasce ad Aiello del Friuli, il 26 settembre 1927. La sua famiglia è benestante, visto che il papà, Egidio, fa il direttore di banca.
Fin da giovane si appassiona al calcio. Il colpo di fulmine avviene nel 1938, all’età di 10 anni, quando sente le radiocronache dell’Italia di Vittorio Pozzo, che in Francia il 19 giugno si laurea campione del Mondo per la seconda volta consecutiva, bissando il successo nella Rimet del 1934.
Fa gli studi classici dai Salesiani, e qui incontra quelli che saranno i due amori della sua vita: da un lato appunto il pallone, dall’altro la letteratura. Si innamora dei classici latini, dei poeti turchi ed in futuro diventerà un grande estimatore di Ernest Hemingway e del suo modo di scrivere asciutto eppure sincero e autentico.
Bearzot nell’Inter
Cresce come difensore, all’occorrenza si disimpegna anche da centromediano nel modulo in voga alla sua epoca, il Sistema. Dalla squadra del suo paese entra così nelle giovanili della Pro Gorizia, e dimostra di saperci fare, approdando in Prima squadra nella stagione 1946-‘47, che vede la formazione friulana disputare il campionato di Serie B.
Bearzot colleziona 21 presenze e 2 goal, tuttavia la Pro Gorizia chiude al penultimo posto. Sarebbe retrocessa, ma essendo squadra della Venezia Giulia, territorio italiano occupato dagli Alleati, è ripescata nella stagione successiva. Enzo, diventato titolare, totalizza 31 gare senza reti, ma la sua squadra, che era stata riammessa per ragioni puramente politiche, si piazza quindicesimain classifica, stavolta retrocede in Serie C in vista del girone unico anche per il torneo cadetto.
Il giovane difensore è tuttavia in rampa di lancio e nel 1948, notato dall’Inter, approda a Milano, sponda nerazzurra. Qui, poco dopo essere arrivato, si rompe per la prima volta il naso: accadrà altre due volte e questi incidenti segneranno il suo volto e col tempo lo faranno sembrare molto più vecchio di quanto era in realtà.
“Al naso ho avuto tre fratture quando giocavo, mica una – racconterà – E due causate dai miei compagni. La prima volta ero arrivato all’Inter da poco. In partitella il portiere Soldan grida mia mentre io sono già in aria a respingere di testa, il pugno anziché sul pallone arriva sul mio naso. Operato, raddrizzato, come nuovo”.
“Pronto per la seconda volta, a Trieste, con il Toro. Saltiamo nella nostra area, io per rinviare, Fortunato per incornare verso la porta. Ci sbilanciano, la palla passa un attimo prima, fronte contro naso, altra frattura. Infine, partitella del giovedì al Filadelfia, la nuca del giovane Mazzero contro il mio vecchio, solito naso. L’ho tenuto cosi, una specie di medaglia se non al valore perlomeno al coraggio”.
Specialista della marcatura, in maglia nerazzurra Bearzot debutta in Serie A il 21 novembre 1998 nella gara che vede la squadra guidata da David John Astley battere 3-1 il Livorno. Resta all’Inter fino al 1951, collezionando 19 presenze in 3 anni, con due secondi posti e un terzo posto in Serie A.
Nell’estate del 1951 cambia totalmente aria, ripartendo dalla Sicilia e dal Catania, in Serie B. Con gli etnei gioca per tre stagioni, tutte in Serie B, totalizzando 95 presenze e 4 reti, e nell’ultima, il 1953-‘54 (34 presenze e un goal) è fra i protagonisti della prima storica promozione rossazzurra in Serie A, più presente della rosa di Piero Andreoli.
Con la maglia granata del Torino
Nel 1954 torna in Serie A: lo prende infatti il Torino, che sta cercando di risalire la china dopo il trauma della tragedia di Superga, che il 4 maggio 1949 aveva spazzato via in un sol colpo una squadra straordinaria. Bearzot ne diventerà una bandiera, disputando 9 campionati, con l’unica (breve) parentesi ancora con l’Inter nel 1956-‘57 (quinto posto con 27 presenze, per un totale di 49 in nerazzurro).
In granata vive stagioni altalenanti, raggiungendo in tre occasioni il 7° posto in classifica, ma anche retrocedendo in Serie B nel 1958.’59, per poi risalire immediatamente nella massima Serie conquistando il suo secondo torneo cadetto in carriera, e indossa anche la fascia da capitano.
Il 27 novembre 1955 è convocato nella Nazionale italiana che affronta l’Ungheria a Budapest per la Coppa Internazionale. Agisce da centromediano con il numero 4 e deve controllare Ferenc Puskás, il Colonnello magiaro. Bearzot tiene fede alla sua fama di marcatore arcigno e riesce a limitare il grande campione per ottanta minuti, ma nel finale proprio Puskás sblocca il risultato, prima che Tóth II realizzi il 2-0 finale in favore dei magiari.
Gioca con il Torino fino a 36 anni, fino alla stagione 1963-‘64, al termine della quale decide di ritirarsi dalle scene con un bilancio di 263 gare e 8 goal complessivi in tutta la sua esperienza in granata. Prima di appendere le scarpette al chiodo, il mediano del Torino fa in tempo a lasciare il suo nome nella storia del Filadelfia: è suo, infatti, l’ultimo goal in campionato nel mitico stadio granata il 15 maggio 1963. La partita è Torino-Napoli 1-1, e la stampa il giorno dopo scrisse che sembrava che quel luogo magico avesse voluto rendere il suo omaggio al capitano.