Uno che nel grande calcio c’è stato e anche bene. Negli anni d’oro in cui le squadre italiane dominavano in Europa, Paolo Stringara macinava chilometri a centrocampo: bandiera del Bologna (ancora oggi adorato dai tifosi) e gregario di lusso nell’Inter del Trap vincitrice della Coppa Uefa 1991 nella finale tutta italiana contro la Roma. Senza dimenticare l’esperienza a Siena che lo ha consacrato: “A Siena sono diventato uomo. Sono arrivato lì a 18 anni e a 20 mi sono sposato. Ho vinto due campionati e la città è diventata la mia casa: anche quando giocavo a Bologna tornavo a Siena. È stata una tappa fondamentale, non solo per la carriera da calciatore, ma per la mia vita in generale”. Una carriera ad alti livelli che ha rischiato seriamente di non iniziare proprio, messa a repentaglio nel settore giovanile nerazzurro, dove Paolo arrivò nel 1978: “Feci un campionato con gli allievi, ma poi l’Inter (proprietaria del mio cartellino) non mi ritenne all’altezza e mi rispedì a casa, tenendomici per un anno intero. A quel punto pretesi che mi trovassero una squadra in Toscana: li provocai dicendo che altrimenti avrei smesso di giocare. Mi proposero la Cerretese o il Siena in C2, ovviamente optai per la seconda. Quando poi a 27 anni l’Inter mi ricomprò dal Bologna pagandomi quasi 2 miliardi, alla prima intervista mi tolsi subito il sassolino dalla scarpa. Mi sembrava anche giusto, in fondo quell’esclusione mi aveva dato la forza per dimostrare a tutti che si stavano sbagliando. Mi sono preso una grandissima rivincita”.
Da quella nidiata di allievi nerazzurri – come ricorda Jacopo Pascone nel suo articolo – sono arrivati in Serie A, oltre a Stringara, Giuseppe Bergomi e Marco Pecoraro, mentre Roberto Fontanini e Mauro Marmaglio si sono fermati in Serie B: “Lo ‘Zio’ Bergomi ha bruciato le tappe vincendo il Mondiale da titolare appena due anni dopo. Si vedeva che era già fatto, già adulto. Noi eravamo ancora ragazzini, lui aveva già i baffi, per quello lo chiamavamo lo Zio. Fin da piccolo si capiva che fosse di un’altra categoria”.
A Siena inizia l’avventura tra i professionisti: “Sono molto grato a Costanzo Balleri: avrei dovuto giocare con la Juniores, mi portò subito in prima squadra e mi fece esordire. Con Guido Mammi, invece, ho vinto il mio primo campionato. Ma l’allenatore al quale devo davvero tantissimo è Ferruccio Mazzola: mi è stato molto vicino ed è risultato fondamentale per il mio trasferimento al Bologna. Era il socio in affari di Nello Governato (allora dirigente sportivo del Bologna, NdR). Fu lui a caldeggiare prepotentemente il mio acquisto a Nello. Sono orgoglioso che, col sennò di poi, abbia avuto ragione”.
La stagione 1985-‘86, chiusa con un quarto posto nel girone B della C1, è l’ultima passata in Toscana: Stringara approda a Bologna. La mediana che si forma in quell’estate farebbe invidia a tante squadre della Serie A odierna: Marocchi-Pecci-Stringara. Invece all’epoca giocavano in Serie B. A dire il vero l’esperienza rossoblù non inizia benissimo: “Eraldo Pecci arrivò a Bologna dal Napoli un paio di mesi dopo di me. Durante la prima partita che giocammo insieme, dopo aver sbagliato un paio di palloni sentii una voce: ‘Oh, guarda che noi siamo quelli con la maglia rossoblù’. Era Pecci da dietro. Questa cosa mi ha segnato, la ricordo come fosse ieri, forse fu la chiave giusta per farmi rendere di più: con la sua ironia riuscì a spronarmi”.
Negli anni passati a Bologna il centrocampista toscano si toglie tante soddisfazioni vivendo la sua completa evoluzione tattica: “Inizialmente giocavo da mezzala, mi piaceva inserirmi: io e Marocchi ci muovevamo ai lati di Pecci. Ero un giocatore un po’ ‘anarchico’, poi col passare del tempo, acquisendo tante nozioni, con le responsabilità che aumentano, cambiai anche il mio modo di giocare”. Tutto questo anche grazie alla vicinanza di un centrocampista straordinario d’altri tempi, Eraldo Pecci: “Mi ha aiutato tantissimo: giocare con lui è stato straordinario”.
La seconda stagione è quella della svolta: grazie a un attacco super – migliore del torneo per distacco con 62 reti segnate – il Bologna vince il campionato e torna in Serie A. Protagonista il capocannoniere Lorenzo Marronaro (21 gol), con il quale Paolo Stringara si sente quotidianamente ancora oggi. Il timoniere del Bologna è invece Luigi Maifredi: “Il suo modo di giocare a zona m’incuriosiva tantissimo, per me era una situazione totalmente nuova. Fu molto affascinante, un po’ come tornare a scuola”. È lo stesso Maifredi con l’addio di Pecci a spostarlo davanti alla difesa nel 1989: “Presi l’eredità di Eraldo, con Ivano Bonetti e Massimo Bonini che agivano da mezze ali”. Da Pecci eredita anche la fascia di capitano: “Già indossare la maglia del Bologna è di per sé una cosa unica, essere stato addirittura il capitano di una squadra così gloriosa è una sensazione che mi godo ancora oggi. Aver avuto la possibilità di capitanare un gruppo composto da gente come Cabrini, Giordano e Bonini continua a rendermi orgoglioso”.
Con Stringara a Bologna giocava anche Fabio Poli, seconda punta sfortunata di quegli anni, ricordato soprattutto per aver segnato il gol che salvò la Lazio dalla C negli spareggi di Napoli del 1987: “Premettendo che ho giocato con tantissimi campioni inarrivabili (Matthaus, Bergomi, Brehme ecc…), se ti dovessi dire il giocatore più forte con cui abbia avuto a che fare ti direi Fabio Poli del Bologna. Maifredi ci puntava tantissimo, era uno spettacolo vederlo giocare. Purtroppo è stato sfortunatissimo, si è rotto il crociato e da lì non è più tornato quello di prima, martoriato dagli infortuni e dalle operazioni subite, contando anche l’ernia del disco più di 10 in carriera. Dentro a quel gruppo di fenomeni ci metto anche Fabio Poli, per me era eccezionale”. Ci stupisce anche quando ci parla della sua “bestia nera”: “Un certo Gabriele Baldassarri della Civitanovese: per 90 minuti non l’ho mai preso, mi ha fatto impazzire. Mi ha messo in difficoltà come nessuno, una sensazione che non ho provato nemmeno quando mi sono trovato ad affrontare campionissimi come Maradona o Zico. Se penso a Baldassarri mi gira ancora la testa”.
Come detto, nell’estate del Mundial approda alla corte di Giovanni Trapattoni: “La mia Inter era una squadra molto muscolare, poi ovviamente non mancava la qualità: avevamo 8 nazionali tra i titolari. Un Pallone d’Oro come Matthaus insieme ai connazionali Klinsmann e Brehme: tre tedeschi campioni del mondo. Oltre ai 5 italiani (Ferri, Zenga, Bergomi, Serena e Berti). Con Paganin, Pizzi, Fontolan e Battistini ci giocavamo gli altri posti. Nonostante la rottura del menisco proprio contro il Bologna a inizio campionato e il seguente strappo muscolare – infortuni che mi tennero lontano dai campi per due mesi –, giocai comunque 22 partite di campionato e qualche match di Coppa Uefa”. Una stagione più che positiva che vede l’Inter tornare a trionfare in Europa a distanza di 36 anni: “Vinsi a Milano quella Coppa Uefa per la quale mi ero qualificato nella stagione precedente a Bologna. Un grandissimo rammarico resta la finale di ritorno. Stavamo perdendo 1-0 all’Olimpico con la Roma, il Trap mi fece scaldare dall’inizio alla fine del secondo tempo senza però farmi mai entrare. Mi sarebbe piaciuto tantissimo poter giocare anche solo 5 minuti di quella storica gara”.
Un allenatore unico come Giovanni Trapattoni seppe farsi perdonare pochi giorni dopo, con un trucco del mestiere, un divertente aneddoto rivelato dall’ex centrocampista toscano: “Era l’ultimo allenamento stagionale. Finita la doccia mi rivestii, misi la mano in tasca e sentii qualcosa. Era un bigliettino con su scritto ‘Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me, mi dispiace per l’infortunio che ti ha un pochino limitato, ma soprattutto sono molto dispiaciuto per la finale, quando ti ho fatto scaldare senza farti entrare. Grazie mille (Giovanni Trapattoni)’. Questa cosa ovviamente non l’ha fatta solo con me, avrà messo un bigliettino personalizzato anche nella tasca degli altri. Ma da una persona che ha vinto tutto non ti aspetti un gesto così umile: andare a chiedere al magazziniere dove si spoglia un calciatore piuttosto che un altro… Per me questa è una cosa da gigante”.
Dopo l’Inter, l’Avellino, un breve ritorno a Bologna e l’esperienza ad Aosta (dove nel 1995-‘96 ritrova il suo vecchio maestro Ferruccio Mazzola), appende gli scarpini al chiodo nel 1996 con la stagione all’Iperzola, quando da giocatore-allenatore porta per la prima volta la squadra tra i professionisti. Lunghissima sarà anche la carriera in panchina di Paolo Stringara. Inizia a Livorno – dove conquista la promozione in C1 e il seguente record di 9 vittorie di fila iniziali in campionato – e prosegue in piazze importanti come Pistoia, Perugia, Lucca, Taranto e Foggia.
Proprio con i Satanelli una delle partite più pazze della sua intera carriera: “Andammo a Benevento per giocare una gara sentitissima. A pochi minuti dalla fine del primo tempo ci trovammo in 9 e senza mister (l’arbitro aveva cacciato anche me). Dopo aver resistito in 9 contro 11 per più di un’ora, vincemmo 0-1 con gol vittoria segnato all’85esimo da Agodirin. Ricordo che a fine primo tempo gli addetti non mi volevano far rientrare negli spogliatoi, neanche per recuperare il portafogli. Seguire il secondo tempo dalla tribuna sarebbe stato complicato, allora andai nel nostro settore: mi misi sotto insieme ai miei collaboratori. C’erano 800 tifosi foggiani, ed erano pure un po’ incazzati, pronti ormai inevitabilmente a perdere. Dopo il fischio finale mi portarono in trionfo, fu una cosa eccezionale: veramente da brividi. Questa partita a Foggia è leggendaria: non so quante squadre nella storia del calcio siano state capaci di un’impresa simile”.
Attualmente collabora con il suo vecchio compagno Jürgen Klinsmann: “Ho lavorato con lui con la nazionale americana e all’Herta Berlino. Stiamo aspettando qualcosa dall’estero, magari una nazionale, vediamo”. Nel frattempo si tiene in forma e continua a giocare a calcio con costanza, coinvolto anche nelle iniziative tra vecchie glorie: “Un paio di volte mi ha chiamato il Bologna Legend per giocare amichevoli con altri ex calciatori. Abbiamo giocato al Dall’Ara contro il Real Madrid Legend in occasione dei 110 anni del club. Nel Real c’erano Seedorf e Roberto Carlos, ex giocatori importanti… abbiamo perso 4-2, però mi sono tolto lo sfizio di segnare su rigore. Spesso andiamo a giocare in giro per i paesini con i veterani, organizza Franco Colomba. Anche con l’Inter sono andato a fare una partita, a Tolentino, perché Suning aveva donato delle tribune per il ‘Centro sportivo Gattari’. C’erano vecchie glorie niente male: Zanetti, Materazzi, Toldo; e anche due miei ex compagni di squadra come Alessandro Bianchi e Beppe Baresi. Sto bene fisicamente, non voglio smettere: ancora oggi giocare a pallone mi piace tantissimo”.
Fonte Guerin Sportivo