Ex difensore di Inter e Milan, è l’unico giocatore ad aver vinto la Coppa dei Campioni con due squadre della stessa città, prima con l’Inter di Herrera, nel 1965, e poi col Milan di Rocco, nel 1969. Ha giocato anche con Spal, Fiorentina, Roma e Lecco. In carriera ha vinto anche tre scudetti (2 con i nerazzurri e uno con i rossoneri), una Coppa Italia (con la Fiorentina), due Coppe delle Coppe (con il Diavolo e con la Viola).
Agganciare i ricordi della propria giovinezza sportiva e restituirli all’interlocutore con la precisione chirurgica dei suoi interventi in area di rigore. Elegante ed essenziale, Saul Verecondo Malatrasi è stato probabilmente il più grande difensore polesano, lui di Calto, nella parte altopolesana della provincia di Rovigo. E, nell’arco di una carriera vissuta calcando sia campi della cosiddetta provincia che palcoscenici internazionali, ha avuto occasione di confrontarsi con attaccanti che hanno scritto pagine emozionanti della storia del calcio. Da Alfredo Di Stéfano a George Best, da Gigi Riva a Nándor Hidegkuti che fu suo allenatore alla Fiorentina.
E proprio con la maglia viola, precisamente il 3 giugno del 1960, all’età di 22 anni gli capita un’amichevole casalinga allo stadio Comunale di Firenze. Di fronte non c’è una squadra avversaria qualsiasi, ma la formazione brasiliana del Santos dove gioca Pelé. L’asso della Seleção ha già vinto il primo Mondiale nel 1958 in Svezia, conquistando subito un posto nell’Olimpo degli Dei del pallone. Ne vincerà altri due nel 1962 e nel 1970, macinando record su record, incrementando nel tempo il suo palmarès e arrivando anche a recitare in un film dal sapore epico come Fuga per la vittoria.
“Mi ricordo bene di quel giorno – racconta Saul Malatrasi – e di quanta emozione provassi davanti agli spettatori. Era una delle prime partite per me, arrivato proprio in quella stagione alla Fiorentina. Nell’occasione giocai terzino destro, mentre la formazione ospite schierava a sinistra il tandem composto da Pepe e appunto Pelé. Il capitano Chiappella mi chiese: Saul, hai paura? Alla fine riuscimmo a vincere l’amichevole per 3-0 con reti di Montuori, Lojacono e Petris. Eppure, ogni volta che la palla finiva fra i piedi di Pelé era sorprendente il modo in cui riuscisse a calciare da qualsiasi posizione. Provai a oppormi a un suo tiro con il corpo, ricevendo una pallonata potentissima su una natica che mi lasciò un segno per giorni”.
Nella Fiorentina (a sinistra) e nel Lecco, sulle figurine “Panini”
Santiago Bernabeu, finale di Coppa dei Campioni 1969. Milan contro Ajax. Con i lancieri c’è un ragazzo secco che non si capisce dove giochi, ti attacca a passo di marcia, ti risucchia sulla trequarti, poi è già in area. Si chiama Johan Cruijff e fa impazzire Anquilletti e Trapattoni. “Cambia, cambiaaaaa”. “Cossa xe che el vol?”. “Dice di cambiare la marcatura su Cruijff”. “Dighe che el se cambiassi le mudande”. Chi chiede di cambiare è proprio Malatrasi, il libero rossonero. Chi gli suggerisce di cambiare biancheria è Nereo Rocco, allenatore di quel Milan. Alla fine i fatti daranno ragione al Paron: 4-1, tripletta di Prati e rete di Sormani, tanti saluti e seconda Coppa dei Campioni in bacheca.
Malatrasi, da dove possiamo partire?
“Dall’inizio… Il calcio a me ha dato tutto. E sono rimasto tanti anni in serie A perché ho sempre ricordato bene da dove venivo”.
Vale a dire?
“Mio padre emigrante in Francia, è mancato a meno di 35 anni. In casa c’era bisogno di uno stipendio e col Castelmassa chi giocava in squadra, in Promozione, aveva il posto in fabbrica. Quello mi serviva e ho iniziato così”.
Poi però arriva la chiamata dalla Spal, la serie A…
“Già, esordisco a 20 anni contro la Juve e poi vado alla Fiorentina, dove vinco la Coppa delle Coppe. Ci allenava Nándor Hidegkuti, una delle stelle dell’Ungheria di Puskás e Czibor. Con lui ho capito come si marca a zona”.
Poi una stagione alla Roma e quindi la Grande Inter.
“All’Inter mi ha chiamato Italo Allodi. Due stagioni, ho vinto la Coppa dei Campioni e l’Intercontinentale. Mazzola, Jair, Corso, Facchetti… Squadra formidabile”.
Che ricordo ha di Helenio Herrera?
“Molto chiuso, difficilmente andava oltre il “buongiorno” e “buonasera”. Studiava, curava molto la preparazione fisica, ci pesava sempre… Parlava pochissimo ma di me aveva grande stima”.
Dopo l’Inter il Lecco, sempre in A, quindi il Milan.
“Sì, ero a Lecco e sempre Allodi organizza una cena, lì abbiamo buttato giù le basi per il Milan. Con Rocco sono rimasto tre anni, abbiamo vinto tutto. Ma in quella squadra c’erano Rivera, Lodetti, Rosato, Trapattoni… Se non vincevi lì o con la Grande Inter dove volevi farlo?”.
Un flash su Rocco?
“Appena arrivato mi guarda e mi fa ‘ciò, mona de un rovigotto, adesso la difesa te la dirige ti…’. Detta così, per chi non lo conosceva, può suonare male. Invece era un’investitura vera”.
Affinità e differenze tra HH e il Paròn?
“Herrera era meticoloso fin nei minimi dettagli, Rocco parlava molto con gli anziani della squadra. Due grandi allenatori, uno introverso, l’altro in spogliatoio come in famiglia. Ma quando si infuriava tremavano i muri”.
Un altro mondo?
“Sì, un po’ in tutto. Adesso sono in cinque in panchina, uno con il tablet, uno con il computer… Ma il calcio alla fine è semplice eh, a un giocatore in serie A non dovrebbero servire grandi spiegazioni su cosa deve fare”.
E la finale al Bernabeu con l’Ajax di Cruijff?
“Loro fortissimi e già pronti al calcio totale. Ma abbiamo dominato noi, alla faccia di chi tacciava Rocco di essere solo un difensivista”.
Come ci si sente a essere uno dei calciatori più vincenti della storia?
“Io l’ho saputo perché me lo hanno detto, non ci ho mai pensato. Ho vinto molto, sì, ma ho anche sempre giocato con i più forti”.
Vai agli articoli originali: Quando Malatrasi sfidò (e sconfisse) Pelé: “Mi opposi a un suo tiro, mi lasciò il segno del pallone per giorni”; Saul Malatrasi: “Inter e Milan? Con Herrera e Rocco potevi solo vincere…”