Scomodarono persino il mitico John Charles. E poi Prati, un’ altra icona del nostro calcio. E, pure lui, l’ex grande campione juventino si inchinò di fronte al prodigio del suo giovane erede, «il diavolo inglese», come i giornali britannici definirono Hateley: «Mark è un grande, davvero. E, un giorno, credetemi, la sua fama sorpasserà la mia. I difensori italiani sono bravi, ma contro i centravanti britannici come me e Hateley l’astuzia non basta. Con il suo talento sarebbe esploso anche in Inghilterra, ma al Milan ha trovato la via più breve per il successo». Detto e fatto: basta ricordare quella prodezza nel derby di andata della stagione 1984-‘85 per comprenderlo. Pallone fra i piedi di Altobelli che tenta di far ripartire la manovra nerazzurra, intervento deciso di Franco Baresi che gli ruba palla e serve Virdis il quale, giunto sul fondo,serve a centroarea un cross sul quale Hateley si avventa. Lo stacco, proprio sul dischetto del rigore, è fulmineo, tanto che Mark riesce ad anticipare nettamente Collovati. Vano il tuffo di Zenga, mentre il pallone si insacca nell’angolino alto alla sinistra del portiere. Un prodigio entrato di diritto nella storia.
Del resto quel ragazzone di Derby (ironia del destino…), appena sbarcato nella Milano rossonera proveniente dal Portsmouth, segnò un gol da favola, che diede la vittoria ai rossoneri nel derby dopo un’attesa di sei anni. Un sollievo per i rossoneri, la cui ultima vittoria nella stracittadina risaliva a quella di andata del 1978-‘79, la stagione della stella. Così ricordò Hateley a fine gara: «Ho visto arrivare quel pallone, e mi sono buttato, saltando più in alto possibile. Pochi minuti dopo potevo segnare ancora, ma Zenga è stato bravissimo». Poi una sincera confessione: «Quando sono arrivato in Italia ero semisconosciuto. Le altre squadre prendevano Maradona, Platini, Zico e Socrates. Il Milan, che veniva da stagioni a dir poco infelici, puntava su di me. Roba da non credere». E fra i mille elogi dei vip presenti in tribuna d’ onore, spiccò quello di Ugo Tognazzi, che definì Hateley e Wilkins, con uno strano paragone gastronomico, come «due rare e raffinatissime spezie inglesi in un piatto divino».
Su Hateley, invece, il suo tecnico Liedholm spiegò che con lui aveva «imparato molto in fatto di tecnica, ma molto poteva e doveva ancora fare. Il risultato, comunque, è sotto gli occhi di tutti». Nota statistica: prima di quel giorno, da oltre ventotto anni la squadra che passava per prima in vantaggio nel derby di Milano si era sempre aggiudicata almeno un punto. Finché, però, un giorno arrivò Hateley, l’uomo giusto per abbattere le statistiche. «Mi ha sbalordito» sussurrò Franco Baresi. Non solo lui. Fu un successo che fece arrabbiare moltissimo il presidente interista Pellegrini. Il quale, incontrando il collega milanista Farina negli spogliatoi, gli disse: «Complimenti: avete vinto una battaglia, ma la guerra sarà nostra». Si sbagliava. A fine campionato, il Milan sarebbe arrivato quinto, l’Inter terza dietro al Torino e al magico Verona di Osvaldo Bagnoli.
28 ottobre 1984, 2-1 il risultato finale per i rossoneri, anche se quel giorno fu proprio l’Inter di Castagner a passare in vantaggio per prima, grazie a una prodezza di Altobelli al 10′ del primo tempo. Grande agonismo a centrocampo, finché poi toccò a Di Bartolomei, al 33′, pareggiare i conti su una combinazione Wilkins-Virdis. Non cambiò nulla fino al 18′ della ripresa, quando sembrava che nessuno sarebbe più riuscito a sbloccare il risultato. Ci riuscì, invece, Mark Hateley, migliore in campo e protagonista di un acceso duello con l’interista Collovati. Una buona parte del merito del successo milanista, che aveva approfittato anche del calo fisico dell’Inter affaticata dagli impegni di coppa, andò anche a Terraneo, decisivo in almeno tre interventi, oltre che al solito Baresi, con l’unica macchia di Battistini franato sotto i colpi di Rummenigge e uscito in anticipo per una distorsione alla caviglia destra che si era procurato durante il riscaldamento. Mauro Tassotti era lì, a due passi, quando Hateley volò fino al cielo per vincere con un colpo fantastico il derby di San Siro contro l’Inter. «Ma prima della gioia – ricorda – arrivò lo stupore. Uno stacco incredibile, che dimostrò quanto Mark possedesse un tempismo e una forza davvero rari. Di tipo inglese, alla Charles o alla Jordan contro un difensore, Collovati, che non scherzava quando c’era da saltare a stretto contatto con l’avversario. Ho ancora negli occhi la meraviglia di tutti noi che gli stavamo intorno, gli applausi, l’entusiasmo, ma anche i complimenti sinceri che gli facemmo per un gesto atletico incredibile».
Una rete di tipo inglese? L’idea, il paragone, hanno una loro precisa motivazione tecnica: «Sì – spiega ancora Tassotti – perché certi contatti, anche rudi, persino nelle azioni aeree, nel calcio britannico sono all’ordine del giorno, e soprattutto sono permessi. Ricordo che Hateley ebbe poi parecchi problemi con i nostri arbitri, che se ne lamentò spesso. Lui era abituato a fare in un certo modo e loro glielo impedivano, continuavano a fischiargli dei falli contro». Poco male, perché i risultati gli diedero comunque ragione. Hateley non capiva perché a latitudini non poi molto diverse ci fossero giudizi così diversi. E nessuno riuscì mai a spiegarglielo fino in fondo. «Ma quel giorno – ricorda Tassotti – non ci furono problemi. Il suo fu un gran gol, uno di quelli che si ricordano per tutta la vita e che si portano ad esempio quando c’è qualcosa da insegnare ai ragazzi».
Fonte: “Storie di Calcio”