L’immagine dei senzatetto che dormono sui treni fermi alla stazione colpisce di più, probabilmente, sapendo che uno di quei clochard ha giocato in Serie B negli anni ’80, con contratti da 500 milioni di lire e durante la carriera ha cambiato 38 auto. Quel clochard è Maurizio Schillaci, cugino di Totò, l’uomo delle Notti Magiche di Italia ’90. E pensare che c’è stato un tempo in cui era Totò a essere il cugino di Maurizio e non viceversa. Perché chi lo ha visto crescere e giocare sui campi prima polverosi della sua Sicilia e poi arrivare fino alle porte del grande calcio ha sempre avuto pochi dubbi: “Maurizio era più forte di Totò…”. Ma dopo tanti gol in campo, Maurizio ha fatto autogol nella vita, bruciando il talento, perdendo la famiglia conoscendo l’incubo della droga, fino a quei vagoni che la notte lo ospitano.
La storia è una drammatica favola al contrario. Schillaci cresce nelle giovanili del Palermo, arriva a Licata voluto da Zeman allenatore e segna 22 gol in 66 partite. Trequartista dai piedi d’oro ma dalla testa matta, non sapevi mai cosa potesse fare e meno di tutti lo sapevano i portieri avversari. Talento puro. Lo prende la Lazio in B, l’Olimpico il contratto a sei zeri, la fama (anche se si parla di serie cadetta), ma gioca poco per un infortunio al tendine mal curato, va a Messina con suo cugino Totò, ma ancora guai fisici, il passaggio alla Juve Stabia, la droga. Prima la cocaina, poi l’eroina. È l’inizio della fine. Che lo porta a separarsi dalla moglie, a perdere amici, contatti, contratti.
E oggi a non avere una casa e a camminare per il mercato della Vucciria a raggranellare qualcosa da mangiare. “Tutti dicevano che ero più forte di Totò . Può essere. Di sicuro io non ho avuto la sua fortuna”. Comincia così un lungo e amaro racconto riportato con tatto ed emozione da Alessandro Bisconti su www.siciliainformazioni.com.
Maurizio, il viso scavato e segnato da droga e tristezze ripercorre nella lunga intervista le tappe di vita e carriera: “Le mie stagioni migliori le ho vissute con Zeman. Segnavo gol a ripetizione. Poi è arrivata la Lazio. Era il mio periodo di grazia. Vivevo nel lusso, ho cambiato 38 auto, ho giocato nello stadio dei sogni, l’Olimpico. Contratto di 500 milioni per 4 anni. poi qualcosa non va per il verso giusto. I primi infortuni, gli stop. Poi scopro perché. Vado in prestito a Messina, là trovo mio cugino Totò. Tutti i giornali parlavano di noi, io e lui facevamo a gara a chi segnava di più quando io ero al Licata e lui a Messina. Ma la mia carriera in realtà s’è spezzata a Roma. Un infortunio mai curato che mi impediva di esprimermi al meglio.
Facevo poche partite e mi fermavo. Mi chiamavano il ‘malato immaginario’ o il ‘calciatore misterioso’, perché ero sempre in infermeria. In realtà avevo un tendine bucato. A Messina si accorgono del problema, mi curano, ma la carriera era ormai volata via. Poi ho subito altre situazioni. Più brutte degli infortuni. Vado alla Juve Stabia, ormai ho 33 anni. E qui conosco la droga. La cocaina, poi l’eroina. Nel frattempo ho divorziato da mia moglie. Zeman? Ogni tanto lo intravedo ancora. Lui impazziva per me. Un grande in campo e fuori per le sue battaglie. Il doping? C’è stato sempre. A me consigliavano di prendere la creatina, mi sono fidato dei medici. Era proibita, ma l’ho saputo dopo. Soldi per aggiustare le partite? Solo una volta me li hanno proposti. Giocavo nel Licata, a Casarano, lo dissi subito a Zeman. Mi disse di rifiutare. Poi finì 0-0, prendemmo 8 pali… Ma a volte le partite si decidono in mezzo al campo, parlando…”.
“Il mio declino è stato velocissimo e ora mi ritrovo per strada. Non riesco a trovare lavoro, dormo nei treni fermi alla stazione. Ci sono altre persone con me, siamo un gruppo di 20 barboni. Con mio cugino Totò non ci sentiamo più. Ho lavorato nella sua scuola calcio per un periodo, ma per ‘travagghiare’ là spendevo 300 mila lire e guadagnavo la stessa cifra. Ho deciso di mollare. Ed ero stanco delle chiacchiere della gente di quel guardarti storto di chi diceva: non porto mio figlio da chi si drogava. Ma l’eroina per me non esiste più. Ho toccato il fondo ma ora voglio risalire. Ogni tanto guardo i bambini giocare in mezzo alla strada. Li osservo e mi piacerebbe dare un calcio a quel pallone…”.