Persona mite e corretta, Sergio Santarini nasce a Rimini nel 1947. È una bandiera giallorossa per tredici campionati, dal 1968 al 1981, 344 presenze con la maglia della Roma nonché altre 70 gare in coppa nazionale e 15 nelle competizioni europee, capitano dei giallorossi dal 1976, elegante ed aristocratico in campo e fuori. Muove i suoi primi passi nel basket insieme al fratello cestista ma a 13 anni si dà anima e cuore al calcio e a 16 gioca in prima squadra nel Rimini, in Serie C.: difensore centrale e poi libero, viene adocchiato dal grande Italo Allodi che lo porta all’Inter.
Il 20 giugno 1967, alla giovane età di 20 anni – come ricorda Bruno Ianniello nel suo articolo su “Noi e la Roma”, disputa una partita amichevole con la maglia del Venezia che lo aveva preso in prestito dal Rimini per l’amichevole contro il Santos di Pelé: la sua squadra perderà 1-0 ma l’elegante Sergio si metterà in mostra disputando un match straordinario contro il fuoriclasse brasiliano cui non farà toccare un solo pallone giocabile. Passa all’Inter agli ordini di Helenio Herrera, ma la sua avventura in nerazzurro dura appena una stagione perché nel 1968 si trasferisce alla Roma insieme al suo compagno di reparto Aldo Bet ed al grande Helenio.
Sergio l’elegante parte quindi con il ruolo di stopper e addirittura scalza capitan Giacomo Losi dal suo ruolo, conquista immediatamente i tifosi con un gol importante e decisivo segnato alla Juventus il 13 ottobre 1968 allo Stadio Olimpico siglando la marcatura dell’uno ad uno, ed alla fine della stagione conquista la Coppa Italia nella partita vinta in finale contro il Foggia per 3-1.
Farà coppia con il suo fratello – amico Aldo Bet per ben cinque anni al centro della difesa giallorossa da cui si dividerà a malincuore. La carriera in nazionale è alquanto travagliata: viene convocato da Ferruccio Valcareggi che lo schiera nella partita disputatasi proprio a Roma il 20 novembre del 1971 contro l’Austria nel match valido per le qualificazioni agli Europei, ma la sua esibizione è macchiata da una sfortunata autorete di nuca. Non sarà purtroppo l’unico autogol della sua carriera: ne farà ben 7 di cui 6 proprio con la maglia della Roma ed addirittura due nel derby (nel 2-2 del 14 marzo 1971 e in occasione del 2-0 per i biancocelesti l’11 marzo 1973) che ancora oggi fatica a dimenticare.
Sergio l’elegante non riesce ad instaurare un grande rapporto con Manlio Scopigno ma lega subito con Liddas Liedholm: «La vera svolta della Roma, a mio avviso, fu quando arrivò Liedholm e cominciammo a giocare a zona – le parole di Santarini al sito web della Roma il 24 maggio 2013 – all’inizio ci fu molto scetticismo intorno a questa scelta, si disse che io e Turone non eravamo adatti per questo sistema, ma non era così. Liedholm non si fece condizionare, ebbe la forza di continuare e di portare avanti un’idea di progresso. Fu un bene non solo per la Roma, ma per tutto il calcio italiano».
La stagione 1974-‘75 si chiude con un ottimo piazzamento, il terzo posto, a soli 4 punti dalla Juventus campione d’Italia e con la terza migliore difesa del campionato. Nel corso della sua lunga avventura nella capitale riceve offerte importanti dalla Juventus, dal Napoli e dal Torino ma il suo no è sempre categorico: vuole restare alla Roma perché si sente una bandiera giallorossa, litiga con il presidente Anzalone perché vuole un ingaggio più alto ed insieme ai compagni di squadra ed amici Cordova, Ginulfi e Liguori, abbandona nel 1973 il ritiro estivo di Salsomaggiore, dopo poco il dissidio rientra. Il 19 aprile 1978, con la Roma in piena zona retrocessione, segna a tre minuti dalla fine un importantissimo gol-vittoria sul Verona (finisce 2-1), che vuol dire salvezza certa, proprio nel giorno della sua trecentesima gara in Serie A.
Nonostante le vicissitudini della sua squadra, Sergio l’elegante disputa una grande stagione e sfiora di nuovo la Nazionale ma il commissario tecnico Enzo Bearzot gli preferisce, come libero di riserva, il giovanissimo Lionello Manfredonia. Capisce che quella poteva essere la sua ultima occasione e ci mette una pietra sopra nonostante la cocente delusione.
Nel 1979 Dino Viola assume il comando del club capitolino, torna in panchina Nils Liedholm e viene acquistato Ramon Turone, libero come Santarini: tutto lascia credere che Sergio siederà in panchina e invece Liddas si inventa un modulo con due liberi: del resto la geniale idea della “ragnatela” nasceva proprio dall’esigenza di sfruttare al meglio le qualità di Turone e Santarini, non proprio due fulmini di guerra ma portatori di esperienza e personalità. Nella stagione 1980-‘81 Sergio perde il posto da titolare e abbandona dopo 13 anni la Roma per andare a chiudere la carriera nel Catanzaro, ma fa a tempo a vincere due Coppe Italia (nell’80, quando solleva il trofeo da capitano, e nell’81), entrambe contro il Torino, ai rigori e trasformando in ambedue le finali il tiro dagli undici metri. Nella seconda finale Liedholm lo fa entrare proprio al posto di Turone all’ultimo istante dei supplementari in vista dei rigori: fa pienamente il suo dovere senza polemiche ed all’ultimo impegno ufficiale con la sua Roma trasforma freddamente il rigore.
Sergio l’elegante è l’emblema di un calcio che non esiste più se non nei ricordi di chi ha vissuto quei tempi: silenzioso, professionale, appassionato, mai una polemica inutile, sempre presente quando era necessario, pioniere di un gioco, quello a zona, che ha fatto tanti proseliti e qualche discepolo non proprio all’altezza del maestro. In una intervista rilasciata poco prima dei Mondiali del 1978 dichiarava profetico: «Se mi amministro bene posso giocare altri quattro cinque anni. Chissà che non riesca a vedere il miracolo d’una grande Roma. Se la Roma vincesse lo scudetto si farebbe vacanza chissà per quanti giorni, nelle scuole, negli uffici, nei ministeri». Aveva capito tutto e con largo anticipo Sergio l’elegante, campione autentico ed uomo vero, testimone fedele del tempo che ha vissuto da assoluto protagonista.
Foto: archivio “ASR Talenti” e “Rivista La Roma”