Massimo Crippa nasce il 17 Maggio 1965 a Seregno e fin da quando è piccolo il padre Carlo, ala destra del Torino, lo indirizza verso il mondo del calcio. Cresce calcisticamente nelle giovanili del Meda e poi passa successivamente al Saronno e al Seregno. A 21 anni approda in Serie C al Pavia e dopo una buona stagione, segue le orme del padre e arriva in Serie A al Torino. Con i granata disputa 29 partite e segna tre reti nella stagione 1987-’88. Le qualità del giovane Crippa non passano inosservate e così Luciano Moggi lo porta l’ultimo giorno di mercato al Napoli, dove formerà con Alemao, Romano e De Napoli il centrocampo dei grandi successi partenopei. Davanti c’erano Maradona e Careca, i quali non hanno bisogno di presentazioni. Ai piedi del Vesuvio infatti Crippa vince uno scudetto, una Coppa Uefa e una Supercoppa italiana, coronata da un gol in finale contro la Juventus.
. La meravigliosa parentesi napoletana si chiude tra le ombre per via dei noti collegamenti tra la squadra e la camorra e l’uso di cocaina. Crippa passa così al Parma nel ’93 ed è subito decisivo nella finale di Supercoppa Europea, dove sigla il gol che regala la coppa agli emiliani nei supplementari. A Parma conquista un’altra Coppa Uefa e aiuta la sua squadra ad arrivare per due anni consecutivi al secondo posto in classifica. Nel 1998 torna al Torino, dove centra la promozione in Serie A, anche se è una gioia illusoria perché l’anno seguente i granata retrocedono. Questa è l’ultima stagione ad alti livelli per Crippa, che poi termina la carriera tra Canzese e Seregno.
Ha scritto Daniele Mosconi: “Nel calcio c’è chi nasce portiere ma poi diventa attaccante e chi fa il percorso inverso. Poi ci sono quelli che hanno una predilezione per un gioco di squadra, fatto di corsa, sacrificio e tanta voglia di gettare ogni volta il cuore oltre l’ostacolo, per poi andarlo a recuperare, ma soprattutto chi sceglie questo ruolo deve avere una particolarità: polmoni d’acciaio”.
Massimo Crippa era questo e tanto altro ancora. Nel periodo in cui ha giocato la sua posizione in campo ancora aveva un nome “antico”: mediano. Adesso si chiama semplicemente centrocampista, in una macedonia dove scompaiono mezz’ali, ali e tornanti, si è tutti uguali, in una globalizzazione tritatutto, compresa la voglia di sognare.