Mazzola è ancora un bambino ma ha già dentro il “demone” del calcio
Ago 30, 2024

Capitano del Grande Torino, uno dei più completi calciatori italiani di tutti i tempi, fuoriclasse indiscusso sul campo e persona per bene fuori o per meglio dire – come vedremo – gran bravo ragazzo. Valentino Mazzola ha segnato la sua epoca e il suo ricordo è giunto indelebile sino ai nostri giorni, complice la tragedia che lo ha strappato alla vita – assieme a quasi tutti i suoi compagni – nella nebbia di Superga.

Il Venezia 1941-’42 con la coppia d’oro Mazzola-Loik
Andrea Bonomi e Gunnar Nordahl nel Milan

 

Valentino Mazzola con il presidente del Torino Ferruccio Novo

“Non me ne intendo gran che di sport, ma dovevano essere dei gran bravi ragazzi!”. Sono le parole di un passante anonimo che il giorno dopo la tragedia di Superga si ferma a riflettere ascoltando i commenti degli sportivi. Parole con le quali Vincenzo Baggioli apre il volume Il Torino oltre la vita scritto alcuni mesi dopo la tragedia per rendere memoria a quella squadra straordinaria. Capitano di quei “bravi ragazzi” del Grande Torino è Valentino Mazzola, che è stato davvero uno dei grandi fuoriclasse che il calcio italiano abbia mai avuto e anche una persona per bene, che la dura infanzia lo ha aiutato ad avere obiettivi chiari nel resto della sua vita.

Il rischio di cadere nella retorica è alto in casi come questi. Gli inizi e la fine della vita di Mazzola si prestano però bene a dar ragione al pensiero di quell’anonimo passante le cui parole Baggioli ha scelto per aprire il suo libro. A ben vedere a Lisbona il Grande Torino era andato a giocare una partita di beneficenza che lo stesso Mazzola aveva avvallato. Così come quando aveva solamente dieci anni Mazzola non aveva esitato a tuffarsi nelle acque dell’Adda per salvare la vita ad Andrea Bonomi, che poi il destino – che ama tracciare alla vita sentieri impensati – avrebbe portato a calcare anch’egli i campi da calcio vestendo i colori del Milan diventandone anche capitano. La promessa di essere un “bravo ragazzo” il piccolo Valentino la fa a sé stesso in un’occasione che la sua seconda moglie aveva raccontato in un libro di ricordi dedicati a Mazzola uscito nel 1950.

Mazzola è ancora un bambino ma ha già dentro il “demone” del calcio, ci gioca sempre e una volta lo fa con le scarpe “buone” rovinandole. Il padre va su tutte le furie e lo punisce chiudendolo in camera per una settimana. Una volta terminata la reclusione, però, il padre regala a Valentino un paio di scarpe da calcio, dal costo esorbitante per le magre finanze famigliari. In realtà il padre aveva dovuto attendere una settimana per poter ritirare lo stipendio e avere quindi i soldi per acquistare le scarpe. Quell’occasione serve a Valentino Mazzola per capire il vero valore del denaro, una lezione di vita che non dimenticherà mai.

Mazzola (in piedi, secondo da sinistra) alla stagione d’esordio nel Torino, 1942-’43; il giocatore contribuì al “double” campionato-Coppa Italia, facendo dei granata la prima squadra italiana a centrare tale doppietta.

Storie da libro Cuore che ancora all’epoca era una lettura indifferibile, quasi obbligatoria nel percorso di crescita. Mazzola, come quasi tutti i calciatori della sua generazione, non era nato nell’agio. Tutt’altro. Nasce nel gennaio del 1919 quando la Grande guerra è finita da pochi mesi e l’Italia sta faticosamente ripartendo dovendo fare i conti con miseria, dolore e tensioni politiche. Nasce a Cassano d’Adda in una famiglia modesta che vive in un quartiere di case dimesse. Ben presto deve iniziare a lavorare per aiutare a far quadrare il bilancio famigliare e si ingegna come garzone e poi presso un lanificio, sino al momento in cui viene assunto come meccanico allo stabilimento dell’Alfa Romeo.

Mazzola però all’ Alfa Romeo non si limita a fare il meccanico, ma gioca anche nella squadra aziendale. La squadra calcistica dell’Alfa Romeo era nata nel 1936 come Dopolavoro Aziendale, poi con la promozione in serie C aveva cambiato nome in Gruppo Calcio Alfa Romeo ed era stato costruito un piccolo stadio annesso allo stabilimento del Portello. Con l’Alfa Romeo nella seconda metà del 1938 Valentino Mazzola inizia quella che sarà la sua unica stagione in serie C, poi parte per il servizio militare a Venezia e lì viene ingaggiato dalla locale società, segnando le pagine migliori della storia dei lagunari. Come noto con la maglia del Venezia Mazzola vince una Coppa Italia e contribuisce al miglior piazzamento di sempre in serie A con il terzo posto del 1942. A quel punto tutti lo vogliono, la spunta il Torino che si prende Mazzola e il “gemello” Loik facendone i perni della squadra destinata a rimanere per sempre nel cuore delle persone: 5 scudetti, 1 Coppa Italia e 1 titolo di capocannoniere in 6 stagioni regolari, seppur interrotte dalla follia della Seconda guerra mondiale.

Nell’immediato dopoguerra nel calcio italiano infuria il dibattito sul professionismo. Ormai tutti i calciatori sono stipendiati per giocare e molti di loro hanno introiti ulteriori che derivano dalla pubblicità. Mazzola stesso è tra questi e non potrebbe essere altrimenti, è il più forte! Nell’estate del 1947 Mazzola, Parola, Coppi, Bartali e altri famosi sportivi italiani firmano per la Obenauch un contratto per delle fotografie in Technicolor che sarebbero state distribuite in tutto il mondo. Lo sport italiano in quegli anni era ai vertici, tutti ne parlavano e si era trovato il modo di ricavare del denaro. Denaro che è alla base di un’altra vicenda che vede Mazzola assoluto protagonista.

Mazzola entra al “Filadelfia” da capitano del “Grande Torino”

“Mazzola annuncia il suo passaggio alla Inter”. Non fa tanti giri di parole il Corriere dello Sport nell’edizione del mattino del 30 giugno del 1940. Sarebbe potuto essere uno dei trasferimenti più clamorosi nella storia del nostro calcio, il passaggio di Mazzola all’Inter all’apice della sua carriera e della sua popolarità. Invece, come sappiamo, non accadrà nulla. La sera del lunedì Valentino Mazzola aveva partecipato ad una trasmissione radiofonica e nel salutare ed augurare buone ferie aveva dato agli sportivi un sibillino arrivederci a Milano. Il Corriere dello Sport voleva vederci chiaro e aveva approfondito con il diretto interessato il quale aveva confermato tutto, tanto che il giornale aveva riportato le testuali parole con le quali Mazzola dichiarava di voler passare all’Inter dove lo attendevano dieci milioni di buoni motivi.

“È mia ferma intenzione di abbandonare il Torino per trasferirmi a Milano e precisamente all’Internazionale. La società nerazzurra mi ha fatto delle ottime proposte e mi ha anzi autorizzato a trattare direttamente con il Torino per suo conto l’eventuale mio passaggio (…)”. In realtà già nel numero del 1 luglio La Gazzetta dello Sport sgonfia il “caso” mettendo in serio dubbio che il trasferimento si potesse concludere. Certo è che le frizioni tra Mazzola e il Torino nell’estate del 1948 sono molto forti e il giocatore è presente nelle liste di trasferimento. Mazzola e il Torino ingaggiano una dura battaglia economica: il calciatore vuole più soldi per poter giocare ancora in granata, il presidente Ferruccio Novo non ne vuole sapere sino a quando saranno proprio i compagni di squadra di Mazzola a convincere il presidente ad adeguare lo stipendio del capitano. I compagni di squadra sanno quanto Mazzola sia importante e ancora assieme riprenderanno a giocare quella che – nessuno di loro purtroppo ancora può immaginare – sarà la loro ultima stagione.

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