In principio era il basket, ovvero quella palla a spicchi che impegnava il giovanissimo Antonio durante le ore libere dalla scuola e impegni vari. Agile sia fisicamente che di testa tanto da cucirsi addosso il naturale abito da playmaker… però il suo futuro non poteva essere quello. Tra i coetanei è il più veloce e tecnicamente dimostra di saper dire la sua ma a mancargli, semmai, sono i centimetri in altezza, fattore non di poco conto per il gioco sul parquet. Nessun problema, nella sua Brindisi ci sono diverse scuole calcio e decide di cambiare così il modo con cui servire assist decisivi; addio alle mani e un grosso benvenuto agli arti inferiori, chiamati sin da subito a macinare molti più chilometri a tutta fascia: inizia l’ascesa di Benarrivo.
In realtà la sfera di cuoio l’aveva già assaggiata, insieme ai suoi amici, in quel campetto improvvisato davanti alla chiesa di San Benedetto, con qualsiasi condizione climatica… favorevole (come il più delle volte) o avversa che sia. La mamma poteva osservarlo da lontano nel frattempo che preparava le lasagne e l’insalata di riso da portare nelle giornate trascorse al mare. Appena maggiorenne esordisce con i pugliesi nel campionato di Serie C1, giocando come terzino sinistro, ma non serve un esperto per comprendere quanto quella categoria gli stia stretta. Antonio vorrebbe bruciare le tappe, e ne avrebbe tutto il sacrosanto diritto, ma al contempo è consapevole che per salire di livello occorre lavorare duro, allenamento dopo allenamento, dimostrando con i fatti e senza parlare tanto… solo l’eloquenza del manto erboso può essere tollerata.
Tre stagioni nella squadra della sua città natale e poi, finalmente, la chiamata in cadetteria grazie all’interessamento del Padova. In Veneto c’è tutto quello che può servire ad un calciatore di indubbie doti e sicuro avvenire: la pressione della piazza non è soffocante, i talenti trovano il minutaggio che gli occorre e la società sogna in grande. I biancoscudati vogliono tornare a respirare i piani alti del calcio e allestiscono una rosa con nomi di tutto rispetto. Benarrivo si ferma per due campionati (1989-’90 e 1990-’91) con l’ultimo che vede una Serie A sfiorata per un soffio; come detto, ci sono svariati profili interessanti e oltre al terzino vanno menzionati certamente soldatino Di Livio ed il diciannovenne Demetrio Albertini, mandato in prestito dal Milan e protagonista di una stagione memorabile con la maglia del Padova.
Siamo nel 1991 quando il Parma, battezzato in massima serie appena l’anno prima, decide di puntare forte su quel ragazzo brindisino che ormai aveva già accumulato gavetta e molta esperienza sul campo. L’allenatore è Nevio Scala che con il suo 5-3-2 apre un vero e proprio ciclo nel parmense tanto da trasformare una provinciale in una big capace di lottare su tutti i fronti. Benarrivo e Di Chiara diventano i gemelli di fascia indottrinati perfettamente al credo del tecnico padovano. Antonio sarebbe un terzino sinistro ma grazie ad un “piccola” bugia riesce a farsi impiegare dalla parte opposta, cioè su quel lato che in seguito presenzierà quasi sempre: “Mister, lo sa che a Padova mi hanno provato diverse volte terzino destro?”.
Non era vero ma Scala gli presta ascolta, poi opta per dargli una chance e alla fine non lo sposterà più. Antonio resterà con i ducali per ben tredici stagioni, diventando inamovibile dagli undici iniziali, eccetto per qualche infortunio di troppo che gli impedì di giocare tutte le gare. Il Parma degli anni ’90 sorprende ma non è più una sorpresa (perdonatemi il gioco di parole), tanto da meritarsi il pass per entrare nell’esclusivo circolo delle cosiddette sette sorelle. Dal ’92 (Coppa Italia vinta ai danni della Juventus) al ’02 (altra Coppa Italia conquistata sempre sulla compagine bianconera) all’ombra del Tardini arrivano otto trofei perfettamente distribuiti fra nazionali ed europei: Antonio è l’unico gialloblù ad esserci dal primo all’ultimo. Punto fisso nel modulo di Scala, molto più che una riserva nell’epopea malesiana…
Benarrivo gioca tutte le finali, eccezion fatta per quelle del ’99. Ben 258 gare in A ne fanno il calciatore del Parma con più presenze ma per codificare l’importanza del terzino, umana oltre che tecnica, non si può ridurre il tutto a delle fredde statistiche. In Emilia non trovò più quel feeling con il gol che si era palesato spesse volte ai tempi del biennio padovano ma in compenso arrivarono prestazioni di altissimo livello in una provinciale con la quale si poteva scherzare poco. Cosa manca? Una Champions? Sì, forse… ma non proprio. Mi spiego, quella coppa dalle grandi orecchie farebbe gola persino a chi le ha conquistate diverse, però è innegabile che il rimpianto più grande arrivò piuttosto con l’Italia in quel mondiale a stelle e strisce. Gli anni ’90 azzurri videro un’abbondanza di fenomeni nella retroguardia (con il blocco del Milan su tutti a far da padrone), eppure Antonio riuscì ugualmente a trovare spazio, anche grazie alle varie defezioni (tra infortuni e squalifiche) dei suoi compagni. Nella rovente Pasadena si sarebbe potuto scrivere la storia, con lo stesso terzino che avrebbe goduto di valutazioni ben più ragguardevoli però, lo sappiamo, i tiri dal dischetto non si fanno intenerire da copioni romantici scritti male quanto in fretta… e le loro logiche appaiono incomprensibili per noi comuni mortali. Il terzino di Brindisi aveva esordito in un match per le qualificazioni mondiali per poi, quattro anni dopo, fare l’ultima apparizione in azzurro nella fredda Mosca in quello spareggio da brividi (non solo per le basse temperature) con vista su Francia98.
Allora addio ai sogni di gloria e tanto vale rituffarsi anima e corpo in quel Parma che molto gli aveva dato e dove il calciatore era intenzionato a chiudere la sua carriera. Benarrivo alza da capitano la Coppa Italia del 2002 (ultimo trofeo del Parma) e per altri due anni vestirà quella casacca con in tasca una bozza di contratto per un futuro dirigenziale in gialloblù… poi il crac. No signori, questa volta non c’entrano nulla i legamenti ma l’infortunio è di natura economica: la Parmalat dichiara bancarotta e i vari accordi vanno a farsi benedire.
Dal 2004 Antonio è praticamente fuori da quel mondo che l’aveva coccolato e custodito per un’intera carriera, lo stesso ambiente che accoglieva volentieri, senza le discriminazioni del mondo del parquet, i suoi 170 cm di altezza, usati fino all’usura tra fascia sinistra, destra e alla fine pure centrale difensivo. Il futuro va costruito mattone dopo mattone, ecco perché Benarrivo non si è fatto trovare impreparato, diventando imprenditore edile una volta appesi gli scarpini al chiodo. In bocca al lupo per tutto, caro Antonio, con la speranza di vederti presto alla guida di una squadra… la sfera di cuoio non può privarsi di uomini come te.
Luca Fazi