Attaccante formidabile, allenatore guida: uomo simbolo di un popolo. Cristiano Lucarelli non è mai stato banale, in ogni sua esperienza. Sull’altare della “Crocetta”, chiesa San Ferdinando, a Livorno, svetta fiera la celebre scultura degli “Schiavi liberati”: un sunto di sofferenza, pietà e sollievo scolpito sul chiaroscuro del marmo e raffigurante tre soggetti, un angelo e due schiavi, in pose diverse. Il primo da destra, incredulo, solleva le braccia, porgendo i polsi insicuri per la liberazione. Il secondo, al centro, prega intrecciando le dita e volgendo lo sguardo all’angelo.
Questo, con pietosa, ma rassicurante indifferenza, li guarda: con una mano tiene le catene, con l’altra indica il cielo. Una sorta di provvidenza divina. La distanza che separa la visione di Giovanni Baratta, scultore carrarese del Settecento, dalla missione calcistica di Cristiano Lucarelli è più labile di quel che si pensi. In fondo, sta tutto nel nome: “Cristiano”, appunto, come il messaggio che da anni ripropone sul campo, facendosi carico delle ambizioni, delle ansie e persino delle lotte delle piazze che lo hanno adottato come guida e come capopopolo. Come sergente e come fratello. Un po’ padre, un po’ angelo, verso la liberazione.
È stato così a Messina, quindi a Catania: è, attualmente, la stessa storia anche a Terni, dentro al carro armato. Sì, – come scrive Amtonio Torrisi su “Goal.com” – non ci siamo sbagliati: un bellissimo “carro armato”. Un po’ cabriolet, un po’ cingolato. Lui al comando, da allenatore, con lo stesso spirito di quando con la maglia del Livorno, e delle altre (nell’ultima parte di carriera anche Parma e Napoli), ha rappresentato gli ideali della propria tifoseria. Tutti eh: non uno solo. Perché a dispetto di quel che si è detto nel corso degli anni no, Cristiano Lucarelli non è solo “il calciatore comunista”.
Né solo, propriamente, un comunista. Ma ciò non vuol dire che del comunismo non abbia fatto il fondo e la base del suo vissuto: spogliato, però, dell’ideologia politica. In questo senso, sì: si potrebbe anche dire che Cristiano Lucarelli sia stato un po’ vittima di un episodio che ha irrimediabilmente segnato la visione comune della sua figura. Nella maniera più ingiusta possibile, in un mondo che non perde tempo per professarsi laico, salvo poi ricredersi religioso fino al midollo, e che si è sempre dichiarato apolitico, ma che non riesce proprio ad accettare riferimenti alla sfera ideologica. Il calcio, in questo senso, rimane materia oscura e misteriosa. È il 1997, marzo: la Nazionale Under 21 fa tappa a Livorno. La “sua” Livorno: lui sta vivendo una bella stagione al Padova, in prestito dal Cosenza, in Serie B. Per una strana ironia della sorte, il commissario tecnico degli Azzurrini è l’uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto: un segno del destino, insomma. Un livornese, Rossano Giampaglia: cresciuto nel Livorno, da giocatore e da allenatore. Sia per il commissario tecnico che per Lucarelli sarà una serata indimenticabile.
Per il primo perché quella contro la Moldavia sarà la prima vittoria sulla panchina degli Azzurrini (con una formazione che vantava Buffon e Totti), dopo essere succeduto a Cesare Maldini: per “Cristiano da Livorno”, invece, perché il quinto dei 6 goal messi a segno lo sigla lui. Un destro preciso che batte Jigailov: sale sui cartelloni luminosi pubblicitari e alza la maglia Azzurra, mostrandosi alla Curva dell’Armando Picchi.
La “sua” Curva. Sulla canotta una raffigurazione di Che Guevara e una scritta: “Livorno è una fede”. “Questa piazza, purtroppo o per fortuna, è schiava di un rapporto carnale con la squadra. Deve essere in simbiosi con la squadra, e per far questo bisogna cercare di mettere su una rosa che abbia un senso di appartenenza notevole verso questi colori. Dobbiamo essere bravi a scegliere non tanto i calciatori, quanto gli uomini”, ha spiegato al momento della sua presentazione da nuovo allenatore del Livorno, 19 anni dopo, nel 2018. Ha appena sfiorato la promozione in Serie B con il Catania, ma in Cadetteria lo ammirano tanto da offrirgli la panchina preferita tra tutte.
L’esonero dopo 10 gare non ha spezzato la magia: anzi, lo ha rafforzato. A Livorno è cresciuto nel quartiere Shangai, prima di trasferirsi vicino al mercato ortofrutticolo: “Chi è uscito da lì si è sollevato dal niente, non ha più avuto paura della vita”, racconta a “La Repubblica”. Uno così deve essere senz’altro temprato dell’acciaio delle travi che al porto livornese sorreggono le grandi navi, prima di un lungo viaggio. Come giocatore rimarrà sempre colui che, nel 2003, ha deciso di trasferirsi al Livorno rinunciando ai soldi, tanti, del Torino, portando gli amaranto in Serie A in un solo anno con 29 reti in 43 partite: “Tenetevi il Miliardo”, insomma, come recita il libro. Come allenatore sta facendo persino di più, se possibile. Al Messina e al Catania ha vissuto due situazioni ai limiti della fantascienza: nello stretto si è fatto promotore di una protesta al cantiere navale dell’allora ex presidente Natale Stracuzzi per il mancato pagamento degli stipendi ai suoi calciatori. Aspetto tipico della famiglia Lucarelli, questo: da Cristiano ad Alessandro. Questione di capitani, con e senza fascia: di attributi, di cuore. Di carattere. In rossazzurro dopo aver sfiorato la promozione in B (e aver sfilato, con una scommessa, un Audemars Piguet all’allora dg Pietro Lo Monaco, smacco simbolicamente importante visto l’epilogo sfiorato dal Catania proprio a causa della gestione dell’ex dirigenza etnea), ritorna in una mattina d’ottobre del 2019, tra sorrisi imbarazzati ed emozione.
Due mesi più tardi la sua squadra riceve un messaggio su Whatsapp, nei giorni di Natale.“Cari ragazzi nel rinnovare a voi e alle vostre famiglie gli auguri di un Buon Natale e di un Felice Anno Nuovo, con la riapertura delle liste di trasferimento abbiamo il dovere di esporvi con chiarezza il quadro economico della ns. Società. Il Calcio Catania Spa per la ben nota situazione debitoria non potrà far fronte agli adempimenti economici così come attualmente in essere. La vita del Catania è primaria ad ogni cosa così che ci sembra giusto che troviate una squadra che vi garantisca di poter avere soddisfatte le vostre esigenze tecniche ed economiche. Nessuna pretesa sarà da noi avanzata alle eventuali squadre che si faranno avanti. Certi della vs. comprensione vi salutiamo cordialmente. Calcio Catania Spa”: sembra l’inizio della fine.
Per lui è solo l’inizio dell’ennesima missione “cristiana”, nel senso religioso del termine. “Voglio una squadra di 22 kamikaze pronti a tutto per fare l’impresa”: il Catania sfiora il fallimento, la squadra viene eliminata ai playoff, pur non ricevendo gli stipendi. Chiunque avrebbe abbandonato, mesi prima, una situazione che definire delirante è dir poco: non provate neanche a dirlo. “Se mi piace trovarmi in situazioni societarie difficili? Se dovessi scegliere direi di no: forse in queste situazioni riesco ad essere più responsabilizzato”, ha spiegato in passato. A fine stagione passa alla Ternana: scende dall’aereo, salutando i kamikaze e le storie intense e ai limiti dell’impossibile.
A Terni ha una proprietà solida (con un presidente lungimirante come Stefano Bandecchi) e una squadra formidabile con cui realizzare la sua idea di calcio. “Se devo scegliere tra Allegri e Sarri, tra risultati e bel gioco? Io sono in mezzo ai due”, ha affermato in un’intervista a Catanista nel febbraio 2020, chiosando con un riferimento politico, mai banale. “Chi butto giù tra Renzi o Salvini? Tutt’e due, così salvo uno tra Allegri e Sarri”: se non lo ami, probabilmente non lo hai mai sentito parlare. A Terni non vince: stravince il campionato di Serie C, distruggendo ogni genere di record. Record di vittorie appartenuto all’Avellino 1972-‘73, 28; 90 punti in classifica, quota mai raggiunta in C: miglior distacco dalla seconda classificata, il Catanzaro, con 22 punti. Per tutta la stagione, la scorsa, ha parlato di “carro armato”. In quella attuale, in Serie B, parla di “carro armato cabriolet”, con un’identità da ritrovare.
C’è e ci sarà tempo, almeno quanto Cristiano Lucarelli ne ha avuto per esprimere se stesso, raccontandosi in maniera trasparente e sincera al mondo attraverso il calcio: pagando, probabilmente e ingenerosamente, quel gesto del 1997 e una spontaneità che non sempre ben si sposa con la convenienza politica dei palazzi. “Io lottavo per il pane, non per il filetto. Ho segnato 240 gol ovunque e a chiunque: tutto è stato sottovalutato rispetto ai miei ideali politici, che pure porterò nella tomba. Non è giusto”, ammette a La Repubblica. Del “comunista” sbandierato a destra e sinistra (soprattutto) più dai giornali che dallo stesso Lucarelli (che del libro “Tenetevi il Miliardo” non parla praticamente mai) resta così l’impronta “cristiana”, provvidenziale, che lo accompagna in ogni sua avventura.
Fortunatamente: perché l’uomo va sempre oltre l’etichetta. Dentro al carro armato, dove ha vissuto praticamente tutta la sua vita, la vista della strada è verticale, retta: come la via che traccia nel cuore dei suoi giocatori e dei suoi tifosi, facendosi guida e comandante. Liberandoli dalla schiavitù dei pregiudizi dei preconcetti come l’angelo della scultura della “Crocetta”, a Livorno. La “sua” Livorno: che lo ha cresciuto come meglio ha potuto, rendendolo quel che è adesso. Nel simbolo della città, sulla bandiera che sventola fiera sulla torre sinistra della fortezza campeggia una scritta eterna. “Fides”: fedeltà. Alla propria terra, alle proprie radici: ai propri ideali. Nulla è lasciato al caso.