Lei entrò nella boutique, salutò le commesse con il sorriso di chi è di casa, diede un’occhiata distratta a un vestito lungo da sera. “Starei benissimo” pensò, tastò con mano esperta il cashmere di un pullover, scambiò due chiacchiere sulla nuova collezione Armani, comprò un paio di stivali di cuoio e uscì dal negozio, leggera e bellissima nella gonna di seta svolazzante.
Lui entrò in campo a partita iniziata, goffo e acciaccato, cercò la posizione, non la trovò, tentò un allungo, inciampò, sentì i primi fischi del pubblico, li ignorò, fece un lancio, lo sbagliò.
Lei passeggiò per le vie del centro, sotto i portici, sentiva gli sguardi degli uomini che le scivolavano addosso, ammise che le piaceva, entrò nel solito caffè quasi danzando, ordinò un aperitivo, sentì un ciao dietro alle sue spalle, aveva riconosciuto la voce, si girò con calcolata lentezza. “Ciao” rispose, il viso le si illuminò, ci fu un istante di silenzio, il cameriere capì, gli aperitivi sul bancone adesso erano due.
Lui andò a battere un calcio d’angolo, da lì i fischi gli pungevano sulla schiena, erano sotto di due gol e mancavano dieci minuti alla fine, doveva inventare qualcosa, doveva farlo in fretta. Si curvò in avanti, accompagnando il movimento con un’espressione di teatrale sofferenza, con il palmo aperto della mano si massaggiò la coscia ripetutamente, tutti dovevano vedere, ciondolò la testa.
Bene, ora tutti lo guardavano, girò lo sguardo verso la panchina; alzò il braccio, richiamò l’attenzione dell’allenatore, chiese il cambio, ciondolò di nuovo la testa, con più vigore stavolta, uscì dal campo zoppicando, passò davanti alla panchina, a testa bassa, chiuso nel suo dolore, non un saluto non una pacca sulla spalla, niente di niente, valeva la pena far finta di zoppicare ancora?
“Come è andata oggi?” gli chiese lei la sera, sul divano, picchiettando le dita a casaccio sul telecomando, davanti a un trentadue pollici.
“Benissimo”, rispose lui con tutta la fiducia che gli era rimasta.
“Hai giocato?” “Sì.” Lei ne sembrò convinta.
“Avete vinto?” ma adesso non diede l’idea che la cosa la interessasse veramente. “Mmm…” fece lui.
“E tu cos’hai fatto?” “Mi sono annoiata da morire.”
“
Forse è meglio che ce ne andiamo da qui”, disse lui, poi si alzò e andò davanti alla vetrinetta dei liquori, gli era venuta voglia di bere qualcosa. Lei non rispose, pensava ad altro. Tre mesi dopo Maria e Herbert Neumann lasciarono l’Italia.
Furio Zara