“… e l’ acqua fredda in faccia cancella già i tuoi sogni
e col bisogno annega la speranza
e mentre la dolcezza del sonno si allontana,
inizia la tua vita quotidiana… “ (Francesco Guccini)
Verso la fine degli anni Sessanta non mi passavano per la testa né San Giovanni Battista né San Gaetano da Thiene, i due contesi Patroni della città. Avevo in testa solo il Paròn del Milan, Nereo Rocco , allenatore da Trieste. Giocatore rossonero già lo ero con l’A.C. Thiene, tanto che a maggior ragione mi immedesimavo nella parte. Perché? Il calciatore che più ammiravo era proprio Gianni Rivera, denominato dalla critica sportiva dell’epoca il Golden Boy italiano.
E infatti, il fatto fu confermato quando, nell’anno 1969, al mio beniamino, che aveva debuttato a 15 anni nel calcio professionistico con l’Alessandria, fu conferito il famoso Pallone d’oro, massima onorificenza europea e prima per un giocatore azzurro.
Gianni, regista della squadra rossonera, era apprezzato particolarmente per l’eleganza nel correre in punta di piedi servendo i palloni di prima alle punte , come in una danza, per l’appunto.
Nella mia camera da letto al posto del crocefisso avevo messo un suo ritratto a mo’di santino e non ci fu verso che di là lo levassi, nonostante le continue scomuniche di mia madre. Stravedevo talmente per questo mio diabolico idolo che tentavo pure di imitarlo, oltre che nel raffinato stile di gioco, perfino nella pettinatura: coppa alta, riga a sinistra e ciuffo fluente ben rifinito a destra.
A quel tempo il giornalista sportivo sedentario Gianni Brera , gran fumatore di pipa, mi divenne alquanto antipatico perché, andando controcorrente, affibbiò al mio beniamino il titolo ironico di Abatino, termine che descriveva in sostanza una sorta di damerino del ‘700 abile nella danza lenta ed elegante del Minuetto.
Gianni Brera da quel giorno non l’ho proprio più sopportato, tanto che disertavo la visione in tv della Domenica Sportiva nella quale il filosofo e giornalista flemmatico conduceva lo spazio critico.
Il fatto è che Rivera, invece, era un vero fenomeno della natura; una mezzala di centrocampo che, oltre a sfoggiare l’innata tecnica, faceva correre la palla senza sfiancarsi e la piazzava con immediatezza dove voleva con grande visione di gioco.
Il suo quarto goal siglato ai campionati di Messico ’70 nell’incontro di semifinale Italia-Germania (4 a 3) lo aveva, di fatto, consacrato tra i salvatori della Patria. Insomma, Gianni Rivera era un giocatore di talento con piedi buoni e il cervello fino. Pierino Prati, detto la peste e n° 11 della formazione, grazie ai suoi pregiati passaggi (assist), stava sempre in vetta alla classifica dei goleador.
Insomma, il binomio Rivera-Prati era una buona garanzia di vittoria e questo a Gianni Brera, forse, da tifoso interista com’era, non garbava. Il mio incontro con Rivera avvenne in primavera a sei giornate dalla fine del campionato 1970-’71 nel campo amico, il caro vecchio Miotto.
Un vero onore per me calcare lo stesso tappeto inglese! Il Milan, al vertice della classifica, si giocava il ritorno al Menti con un Lanerossi Vicenza inguaiato come sempre nella lotta per la salvezza.
La squadra meneghina tenne l’ultimo allenamento nello storico stadio di Thiene. Di quella squadra ricordo ancora la formazione tipo: Cudicini, Anquilletti, Trappattoni, Rosato, Schnellinger, Biasiolo, Villa, Benetti, Combin, Rivera, Prati. Riserve: William Vecchi, Zignoli, Cattaneo, Maldera, Casone, Rognoni, Paina. Quel giorno seguii, con ansia, da bordo campo il mio campione per tutto il tempo dell’allenamento e quando il mitico numero 10 del Milan uscì dagli spogliatoi, con gli amici mi sistemai al suo fianco per fare la classica foto da consegnare ai posteri. Alla destra di Rivera si posizionò la mitica vecchia gloria del calcio italiano, Nino Rosa , veterano centrattacco e già compagno di squadra del Paròn Nereo Rocco nella Triestina, poi Beppe Ferretto e Paolo Andrighetto. Io mi piazzai subito sul fianco sinistro di Rivera con Riccardo Marenda. Ero così emozionato che chiesi al fotografo Gianni Zordan di fare un altro scatto per sicurezza.
Non si sa mai! Insomma fu una giornata memorabile. La domenica pomeriggio andai allo stadio Menti in mezzo ai supporter biancorossi, ma tifando Rivera senza farmi vedere.
Lanerossi e Milan si divisero la posta in gioco: 1 a 1. Era il 21 marzo 1971. Non ricordo se quel giorno Prati segnò il goal del pareggio su un passaggio di Rivera, ma ricordo benissimo che Pierino in quella stagione si classificò al secondo posto tra i cannoniere con 19 goal (tutti su azione), dopo Boninsegna, centrattacco dell’Inter che siglò 24 goal di cui ben 8 trasformati su calcio di rigore.
Il Milan, che aveva dominato a lungo il campionato, fu superato dall’Inter che vinse lo scudetto, e si piazzò al secondo posto a quattro lunghezze di distanza… per la gioia del bonario Gianni Brera, filosofo tifoso nerazzurrro, che dallo studio della Domenica Sportiva si burlava del mio adorato Golden Boy Rivera.
Giuseppe (Joe) Bonato