Gianni Rivera ha scritto la storia del Milan e del calcio mondiale tra gli anni ’60 e ’70. In rossonero ha collezionato 164 gol in 658 partite, e vinto numerosi trofei tra cui due Coppe dei Campioni. Nel 1969 è stato anche insignito del Pallone d’Oro, fu il primo italiano a ricevere l’ambito premio. È stato l’icona di Italia-Germania, la partita del secolo.
Durante le 19 stagioni in cui ha giocato per il Milan, non ha fatto altro che insegnare calcio. Era leggero, era leader, era angelo. Era carisma, seduzione, bellezza e altruismo. Tempo, visione di gioco e calma in un mondo, quello del calcio, che ancora non camminava rapidamente.
È stato il primo italiano a vincere il Pallone d’Oro nel 1969: “Quell’anno il migliore è stato Pelé. Non ci sono dubbi. Il problema è che solo gli europei potevano vincerlo”. Una volta di più, Rivera, con queste parole si dimostra campione di modestia.
Poi Rivera ho voluto sempre evidenziare un segreto (che poi tanto segreto non è) comune con gli altri due grandi capitani della storia del Milan, Franco Baresi e Paolo Maldini: “Ho iniziato all’oratorio parrocchiale Don Bosco. Era un ambiente calmo, sano, costruttivo. Non c’era pericolo, perché ci sentivamo protetti. I salesiani di Don Bosco sono stati fondamentali nella mia crescita. Anche Maldini e Baresi hanno cominciato dall’oratorio, qualcosa vorrà dire”.
Lui stesso si definiva “papà” dei tanti ragazzi che con lui hanno calcato il campo della Don Bosco di Alessandria. Sono migliaia i giovani calciatori che sono cresciuti con lui a partire dagli anni 50, da quando era stato costruito l’oratorio. La sua storia l’ha raccontata su La Stampa Adelia Pantano.
Angelo Fiore era nato a Manfredonia, primo di cinque figli. Aveva lavorato come maestro e responsabile amministrativo della scuola elementare Bovio. Come più volte l’aveva raccontato, di calcio agli inizi non sapeva nulla. Poi un giorno, per caso, gli era stato chiesto di accompagnare una squadra al campo dei ferrovieri per la partita contro la Valenzana perché avrebbe dovuto sostituire l’allenatore. Da lì ha iniziato a osservare quei ragazzi, aveva chiesto consiglio a qualcuno e il resto lo fece da solo. Il resto è storia.
Di tutti loro aveva segnato nomi, cognomi e numeri di telefono delle famiglie, annotazioni personali su dei quadernetti che portava sempre con sé. Dai suoi allenamenti sono passati personaggi come Gianni Rivera, con il quale ha mantenuto un forte legame, ma anche Giampiero Dalle Vedove e Daniele Daino, anche lui ex giocatore del Milan e dell’Alessandria.
Dall’oratorio dei salesiani, all’ombra del campanile di Santa Maria di Castello, allo stadio Moccagatta: la storia sportiva di Alessandria annovera anche un altro personaggio, anche lui legato a Rivera. Gino Ressia – come scrive Mimma Caligaris su Il Piccolo – è stato, sempre, la memoria della Don Bosco, quella in cui giocavano Rivera, Coscia, Torti, Ferrettini, Massimelli, Petterino: lui, classe 1940, faceva anche il dirigente, i premi per quella squadra imbattibile, e gruppo straordinario di amici, erano stick e frappé. Raccontava di aver fatto firmare il primo contratto a Rivera, ingaggiato, giovanissimo, per un torneo estivo a Castelnuovo Scrivia, località raggiunta con la Lambretta di don Ceschia.
Oggi Rivera compie 81 anni. C’è chi ha condiviso con lui i primi calci a un pallone sul campo in terra battuta dell’ oratorio e oggi, sorretto da una memoria inossidabile, si lascia andare al piacere del ricordo. Raccolto da Gabriele Moroni sul Quotidiano Nazionale. Beppe Torti (nato tifoso dell’Inter e, neanche a dirlo, dei Grigi alessandrini), porta con vivacità le 84 primavere (tre più di Gianni).
“Sono nato ad Alessandria, in casa di mio nonno, nel quartiere Rovereto, il nucleo più antico della città. La chiamavano la ‘court di russ’, perché c’erano i circoli socialisti. Gianni è venuto al mondo a Valle San Bartolomeo, un sobborgo di Alessandria, sulle colline, dove la famiglia era sfollata per sfuggire al rischio dei bombardamenti. Poi tornata in città, in via Pastrengo, a due passi da casa mia. Nel dopoguerra i salesiani hanno riaperto il convitto per gli studenti che arrivavano dai paesi e anche l’oratorio per i ragazzi delle famiglie meno benestanti. È nata la squadra di calcio dell’oratorio Don Bosco, in via Santa Maria di Castello. Gianni era con il pallone fra i piedi già alle elementari. Poi ci siamo ritrovati nella squadra dell’oratorio”.
Ma com’era Rivera, ragazzino, in campo? “Mostrava già una forte personalità. In campo dominava. Non mi hanno stupito le sue polemiche con gli arbitri, con Berlusconi. Diciamo che Rivera fin da ragazzo era consapevole della sua classe. Ha sempre giocato mezzala. Si piazzava in mezzo al campo e dirigeva l’orchestra. Con noi c’era Riccardo Sogliano, che avrebbe giocato con Gianni nel Milan negli anni Settanta. Era un corridore già allora. Tutti noi correvamo per Rivera. In campo è capitato che gli tirassero qualche pallonata. Aveva il coraggio di dribblare anche tre volte di seguito l’avversario, un ragazzo maggiore di quattro o cinque anni, che magari giocava nella giovanili e che avrebbe fatto una bella carriera. Quello si sentiva preso in giro, si infuriava e cercava di prenderlo a pallonate”.
Rivera in campo faceva la differenza: “Gino Ressia diceva che il calciomercato era stato inventato qui da noi. Mi spiego. Quando facevamo i tornei dei centri giovanili, le altre squadre ci chiedevano Rivera in cambio di due o tre dei loro calciatori. Così noi giocavamo in superiorità, ma gli altri avevano Rivera”. I genitori hanno sempre assecondato Rivera nella passione per il calcio: “Assolutamente sì. La signora Edera, apprensiva come tutte le mamme, si preoccupava che il figlio non si facesse male, non sudasse troppo. Teresio, il papà, ferroviere, era convinto che il figlio avrebbe sfondato”.
All’epoca per quale squadra faceva il tifo Rivera? “Devo proprio dirlo?” risponde Torti. Dopo tanti anni è tutto in prescrizione. “Allora direi che forse era juventino”.
Com’era la vostra amicizia? “La vita si divideva tra casa, scuola, calcio. A Gianni ho prestato dei libri per quando studiava alle tecniche. Gli ho presentato le prime morosine. Era un tipo tranquillo. Quando ha iniziato ad affermarsi piaceva anche alle ragazze più grandi”.
Rivera dunque. Il debutto in serie A con l’Alessandria. Poi il Milan. “Fu il grande Franco Pedroni, allenatore della prima squadra dei Grigi, a volerlo fra i titolari. Debuttò in A il 2 giugno 1959 in Alessandria-Inter 1-1, l’Inter di Angelillo. L’anno dopo era al Milan. Ha cominciato allora a distaccarsi da Alessandria, dall’ambiente calcistico cittadino, da noi vecchi amici. I rapporti sono ripresi dopo che aveva dato l’addio al Milan e al mondo del calcio. È stato lui a fare il primo passo, in particolare verso Marzio Petterino. Marzio era un promettente mediano, una carriera stroncata nel 1957 dalla poliomielite”. E a proposito di Petterino, Rivera ha sempre detto: “Era più forte di me, è stato solo tanto sfortunato”.
Mario Bocchio