Nonostante non abbia ancora compiuto trent’anni, Roberto Bettega sfoggia già i capelli sale e pepe. Una caratteristica che sembra legare “penna bianca”, come viene chiamata tra le gradinate dello Stadio Comunale, al suo storico club. Bianconero tutta la vita. Senza sciovinismi (un po’ comunque) o civetteria fuori luogo, Roberto semplicemente mostra i suoi colori naturali ben prima di Fabrizio Ravanelli. Fin dalla sua nascita, il 27 dicembre 1950, Bettega sogna la “vecchia signora” dove finisce per andare all’età di 10 anni, sperando di seguire le orme di John Charles e Omar Sivori, i suoi idoli giovanili di cui mimava le gesta a scuola e al parco giochi.
Roberto Bettega nella Juventus sulle figurine “Panini”
L’italo-argentino crossa sulla testa del gigante gallese, intransigente nel gioco aereo, specialità che Bettega condivide con i suoi 184 cm di altezza ma che sfrutta timidamente negli esordi. Il torinese ha potenzialità enormi e aspetta la svolta. Nils Niedholm, ex maestro del Milan, sarà il grilletto. Lo svedese, appena arrivato alla guida del Varese allora in Serie B, ottenne il prestito di Bettega per la stagione 1969-‘70 e trasformò il giocatore che collocò sulla punta dell’attacco. Grazie a tanto lavoro atletico in compagnia del preparatore dell’Ignis, pallacanestro varesina, Bettega ha lavorato sul suo rilassamento e lo ha realizzato in campo: “Piano piano, aiutandomi con l’altezza, ho saltato più in alto del altri. E mi è piaciuto così tanto che ho iniziato a segnare gol di testa da tutte le angolazioni”. Risultati: 13 gol e capocannoniere della Serie B. La Juve lo richiama all’ovile per la stagione successiva.
Roberto Bettega esordì in Serie A il 27 settembre 1970 a Catania. Un ricordo indimenticabile per il giovane attaccante, all’alba dei suoi 20 anni: “La Juve vinse 1-0, e fui io a segnare, di testa, il gol della vittoria”. Bettega ne segna 12 in più in stagione, come l’anno precedente. Roberto è il nuovo fidanzato dell’Italia ma vive un matrimonio barbarico. Brutta tubercolosi, contratta dopo la partita contro la Fiorentina del gennaio 1972. Febbre, tosse violenta, 37 giorni di ospedale. Una carriera sospesa per tre mesi che ha dato l’amaro al suo primo scudetto e ha ritardato la sua ascesa internazionale bussando alla porta della Nazionale.
Roberto dovette aspettare ancora qualche anno prima di debuttare con la squadra azzurra, contro la Finlandia (1975) e poi diventare “Bobby-gol”, soprannome affibbiatogli dopo il gol contro l’Inghilterra a Roma nel novembre 1976. Tracciato da un malore, l’attaccante con sulla schiena il numero 11, ha perso la sua efficacia sotto porta. Ha partecipato alla conquista di nuovi titoli da parte della Juve (1973 e ’75) prima di risorgere durante la stagione 1975-‘76. Quell’anno fu il grande rivale confinante, il Torino, a vincere lo scudetto ma finalmente “Bobby-gol” trovò la rete (15 gol sul tabellino).
Prestazione che confermerà nelle stagioni successive (17 reti nel 1977, 11 reti nel ’78) vincendo due nuovi scudetti e una Coppa UEFA a spese dell’Athletic Bilbao (1977). È stato lui che, staccandosi dalla marcatura delle sue guardie del corpo, ha aperto le marcature nella polveriera del San Mamés al ritorno, e ha regalato la vittoria finale alla Juve in entrambe le partite dopo il successo di misura dei torinesi all’andata. (1-0 e 1-2). Definitivamente guarito, lo juventino sposa suo malgrado la filosofia nietzscheana. Ciò che non uccide rende più forti e Bettega morde la vita attaccando la palla in aria, con la rabbia del vincitore, trascinando in fondo alla rete ricordi dolorosi: “È stata un’esperienza terribile per me ma probabilmente benefica. La malattia mi ha indurito, fisicamente e moralmente. Sento di non aver più paura di nulla”.
È con un morale da guerriero nuovo che “Penna Bianca” si avvicina al Mondiale in Argentina. Un evento che gli rimane un po’ in gola. Nonostante i due successi, contro l’Ungheria e i futuri campioni, il cammino dell’Italia si conclude agli ottavi dopo la sconfitta contro l’Olanda (1-2). Un incontro cruciale che chiude le porte alla finale per gli Azzurri che salteranno il podio pochi giorni dopo contro il Brasile (1-2) nella partita di consolazione. Quel giorno Bettega puntava all’asticella che con la Juve fissa sempre in alto.
Roberto si consolò con la Coppa Italia l’anno successivo (1979), il primo trofeo nella sua storia in questa competizione alla quale aggiunse una linea nell’83. Un curriculum che crebbe con il titolo di capocannoniere della Serie A al termine della stagione 1979-‘80 dominata dall’Inter. Seconda classificato dopo i nerazzurri, la “Vecchia Signora” si rifarà nei due anni successivi (scudetti ‘81 e ‘82), l’ultimo titolo segnato ancora una volta dal destino per l’attaccante bianconero difficilmente risparmiato dagli infortuni di fine carriera. Durante una partita di Coppa dei Campioni contro l’Anderlecht il 4 novembre 1981, Bettega rimase gravemente ferito in contatto con il portiere belga Jacky Munaron. Rottura dei legamenti. Stagione finita per “Bobby-gol” che guarda davanti alla tv la vittoria dell’Italia ai Mondiali (1982). sfortuna per chi voleva vendicare il fallimento dell’Euro in casa due anni prima. Rientrato alle competizioni subito dopo il Mondiale di Spagna, Bettega è tornato in campo ma in panchina, sostituito nel cuore dei tifosi da un Paolo Rossi in piena carica dopo le imprese in Spagna. Nonostante il tempo di gioco ridotto,
Bettega ha comunque partecipato alla finale di Coppa dei Campioni contro l’Amburgo ad Atene. Un posto da titolare sinonimo di sconfitta (0-1). Un’altra sconfitta per Roberto che si separò dalla fidanzata italiana a fine stagione e concluse la sua carriera internazionale lo stesso anno (la sua 42esima e ultima selezione contro la Romania il 16 aprile 1983) prima di tentare la fortuna nella NASL al Toronto Blizzard (1983- ‘84).
Un’esperienza piuttosto aneddotica per Bobby che non viene risparmiato dal malocchio. Tornato a casa e sul punto di perfezionare il suo trasferimento all’Udinese, Roberto Bettega si schianta sull’autostrada Milano-Torino con la sua Autobianchi A112 per motivi inspiegabili. Velocità? Fatica? “Penna bianca” ha fatto la sua ultima prima pagina sui giornali dal suo letto d’ospedale a Novara dove era ricoverato in terapia intensiva per curare una frattura all’occipite. Un brutto infortunio che ne farà precipitare il pensionamento anticipato.
Mario Bocchio