Nel 2013 venne ritrovato privo di vita a Caprazoppa, frazione di Finale Ligure in provincia di Savona. Stiamo parlando dell’ex attaccante di Napoli, Catanzaro e Bologna Gaetano Musella. Aveva 53 anni. Era stato ritrovato riverso in terra, senza i pantaloni. Indossava una maglia ed un paio di sandali. Poco più in là c’era una Fiat 500 di colore blu, intestata ad un amico. Fu un malore, un infarto fulminante. La scomparsa di Nino Musella – come scrisse Barbadillo.it – ci riporta indietro negli anni, quando il calcio non era ancora questione di sponsor. Un talento puro che però non è mai riuscito ad imporsi, un destino maledetto per lo scugnizzo napoletano che sognava di regalare il primo scudetto alla sua Napoli e che invece dovette far le valigie dopo tre campionati.
La carriera la iniziò giovanissimo, nella sua Napoli, e la proseguì tra Catanzaro, Bologna fino a che imboccò il viale del tramonto, costellato dagli ingaggi strappati in terza serie a Nocerina, Ischia, Empoli, Palermo, Juve Stabia e Latina. Punta guizzante che sprizzava talento da tutti i pori, Musella era un attaccante imprevedibile. A tal punto che dopo il brevissimo “apprendistato” di Padova, si spalancò un posto in squadra per lui, al Napoli di Luis Vinicio, ‘o Lione e Rino Marchesi. Certo, non erano ancora i tempi di Diego Armando Maradona. Ma quella squadra aveva fame e campioni in grado di far tremare Juve, Milan e Inter. Musella si trovò a condividere lo stesso spogliatoio di gente come Luciano “giaguaro” Castellini, l’olandesone Rudy Krol, Peppe Bruscolotti, il mitico baffo Massimo Palanca. Con la maglia azzurra del Napoli, la squadra della sua città, siglò 13 gol in 67 partite. Musella poi venne ceduto al Catanzaro, una stagione sciagurata quella 1982-’83: solo 13 punti in classifica, ultimo posto e retrocessione in serie B. Nemmeno un gol, quel campionato, per lui. L’anno dopo il disastro fu ancora più drammatico: in cadetteria il Catanzaro bissò l’ultimo posto con 30 punti. Dieci vittorie non bastarono a tenere a galla i calabresi. Poi l’avventura in terza serie con l’immediato ritorno in B. Ma l’andazzo è ormai segnato: nuova retrocessione in C1.
Arrivò la chiamata del Bologna, in un solo campionato fece tanti gol quanti ne aveva realizzati in 56 gare a Catanzaro: pochi, alla fine, appena cinque. Ma per Nino già non c’è più spazio. In rossoblù stavano emergendo talenti che lo chiusero sia in attacco che a centrocampo: da Giancarlo Marocchi fino a Lorenzo Marronaro. Per Musella l’unica possiblità era tentare altre strade.
Così il lungo esilio della serie C. Giochò a Nocera Inferiore, ad Ischia, a Palermo ed Empoli, Castellammare di Stabia e Latina. A 37 anni appese gli scarpini al chiodo. Un talento sprecato che dopo una partenza folgorante – entrò nel giro dell’Under 21 – , finì in chiaroscuro, con tanti campionati di serie B e serie C, pochi gol ma numerose finezze distribuite a piene mani sui campi della provincia italiana. Ancora oggi, a distanza di quasi vent’anni dal suo ritiro, c’è chi ricorda le punizioni infilate nel sette e i guizzi di classe cristallina.
La dolorosa vicenda della scomparsa di Musella ci riporta indietro ai tempi in cui il calcio era un’altra cosa, quando un centravanti che prendeva botte dai difensori non avrebbe mai e poi mai trovato un giornalista pronto a chiederne la tutela, come se fosse un pezzo d’antiquariato. Iniziò a giocare quando ancora era vietato scrivere il nome dello sponsor sulla casacca della squadra e si è ritirato un anno dopo la famigerata sentenza Bosman.