In Cina, il calcio si traduce in Tsu-Cho, un gioco di origine militare. Poi c’è la miscela di cavolo. Una ricetta base che gli americani dovranno imparare a cucinare nell’autunno del ‘77. Nell’ottobre di quell’anno punk, un esercito di venticinque cinesi invase gli States. Un atteggiamento un po’ “senza futuro” e bellicoso da parte del commando asiatico, che tuttavia non assomiglia ad una provocazione politica, né alla volontà di seminare disordini tra i due blocchi. La delegazione cinese – composta da diciotto giocatori, due interpreti e cinque membri dello staff – è infatti la nazionale di calcio arrivata negli Usa nell’ambito di un tour preparatorio al “torneo asiatico”, una delle principali competizioni del continente, che che avrà luogo l’anno successivo (1978) in Thailandia.
Una scelta comunque strana per preparare in condizioni ottimali un evento del genere, in una terra ostile e imperialista, che risponde però a un accordo di principio tra i due paesi e alla visita, qualche mese prima, dei New York Cosmos nella Repubblica Popolare Cinese. Uno scambio di buone pratiche in un certo senso. Un dato di fatto per una resa inequivocabile come confermato dal segretario generale della Federcalcio cinese Yang Hsiu-Wu. “Venendo in Cina”, dice il, “i Cosmos ci hanno fatto conoscere l’impatto del calcio negli Stati Uniti. Era la promozione del calcio americano. Per quanto riguarda la nostra venuta qui, nasce dallo stesso bisogno di informazioni ed esperienza per una squadra completamente nuova”.
E giovane. La formazione cinese ha un’età media di 23 anni e vuole imparare dal mondo. Ad esempio sulla professionalità e sugli alti stipendi della NASL, e sul livello tecnico-tattico secondo la versione ufficiale. Una visita comunque molto tranquilla, una sera i giocatori condividono il loro pasto nella caffetteria, posta sotto il segno della tolleranza tra i popoli, per quanto diversi possano essere.
Chiaramente è solo nello sport e nel calcio in particolare che possiamo riunire nemici ideologicamente accaniti. Un vero messaggio di pace e un modo di sventolare bandiera bianca quasi citando un piccolo sakè di de Courbertin. “Ciò che conta”, dice Yang Hsiu-Wu, “è l’amicizia. La competizione viene dopo”.
Beh, in ogni caso sono venuti per questo e il tour, accuratamente organizzato, porta la delegazione cinese ai quattro angoli degli States. A Washington, New York, Atlanta, Tampa Bay e San Francisco. Destinazioni privilegiate per affrontare Cosmos (1-1) e Rowdies (2-1) e tre volte la selezione statunitense.
Un’opposizione simbolica che però finisce a vantaggio degli americani. Due vittorie (1-0 e 2-1) e un pareggio (1-1). La Cina cade a pezzi ma riparte con immagini e idee in testa per prepararsi al futuro. “Solo il lavoro e gli scambi ci faranno progredire”, il coach Chang Hung Ken, un po’ foufou, sta già pensando alla sua prossima destinazione. Viaggiare soprattutto con i giovani. E in Cina impari velocemente.
Mario Bocchio