I dieci gol dell’odio
Lug 23, 2024

Nel 1952 ai Giochi Olimpici di Helsinki va in scena un confronto che trascende oltre un campo da calcio.

Nel bel mezzo della Guerra Fredda, il Compagno Supremo ardeva dall’interno per la “disobbedienza” jugoslava, perchè non tollerava alcuna leadership comunista che non fosse promulgata dall’Unione Sovietica. L’ossessione per la scomparsa del maresciallo Tito aveva portato Stalin a pianificare ben ventidue tentativi di assassinio. La lettera di risposta di Tito gli gelò il sangue: “Se non la smetti di mandarmi assassini, ne manderò uno a Mosca molto velocemente, e ovviamente non avrò bisogno di inviarne un altro”.

Tito e Stalin, più odio che amore

Con quell’atmosfera nel mezzo, altri 22, questa volta giocatori di calcio, stavano rischiando qualcosa di più di un pass per il prossimo turno di calcio ai Giochi Olimpici di Helsinki del 1952. Stavano rischiando la pelle e l’orgoglio di due interi paesi; oltre, ovviamente, all’enorme ego dei suoi leader. La partita della Jugoslavia contro l’Unione Sovietica delle suddette Olimpiadi negli ottavi di finale, è considerata mitica per tutto ciò che la circondava e ovviamente per il suo risultato.

Stalin voleva dimostrare il suo potere su tutti i fronti e le Olimpiadi del 1952 apparivano come un trofeo che anche lui voleva vincere. Le medaglie sul petto sarebbero un chiaro messaggio di supremazia per il resto dei governanti. L’Unione Sovietica avrebbe partecipato per la prima volta alle Olimpiadi e il suo senso amatoriale calzava a pennello.Travestiti da semplici operai, i suoi atleti erano in realtà macchine progettate per vincere.

L’inaugurazione delle Olimpiadi di Helsinki nel 1952

Nel caso del calcio e di altri sport, il loro significato proletario doveva essere cambiato. A tal fine, i sovietici avevano club sportivi di origine militare come il famoso CSKA di Mosca fondato nel 1911. Conosciuta come la squadra dell’Armata Rossa, era ed è ancora presente in molti sport, da qui la sua importanza. La stragrande maggioranza degli atleti ad alte prestazioni erano andati in guerra tra il ‘41 e il ‘45.

Una volta terminato il conflitto, gli aiuti allo sport continuarono ad essere una priorità per Stalin e furono stanziate ingenti risorse. Voleva comunque battere gli Stati Uniti nel medagliere assoluto a Helsinki, ma alla fine si è ritrovato secondo con 71 medaglie contro le 76 americane, mentre a Melbourne nel 1956 sarebbe poi stato primo. Sebbene il calcio sovietico fosse stato riconosciuto dalla FIFA solo nel 1948, il Compagno Supremo voleva quella medaglia per mostrare a Tito chi era che comandava.

Figurine di Bobek e Boškov della Jugoslavia

La nazionale jugoslava aveva una storia più ampia come federazione calcistica. Partecipava alle competizioni sin da Anversa nel 1920; ma, fatto curioso, quella squadra che avrebbe giocato a Helsinki era composta in maggioranza dal Partizan Belgrado. La squadra partigiana jugoslava, formazione militare comunista durante la Seconda guerra mondiale, era stata creata ad immagine e somiglianza del CSKA che visitò Belgrado nel 1945 dopo la fine della guerra. Lì ricevette elogi e servì da esempio per gli ufficiali che crearono il Partizan. Quelli che prima si abbracciavano come eroi di guerra ora si odiavano a causa della geopolitica.

L’uomo del gol della Jugoslavia era Stjepan Bobek, quinto capocannoniere europeo nei campionati di prima divisione con 423 gol, realizzati quasi interamente con i bianconeri del Partizan. Puskás disse di lui: “La tecnica di Bobek con la palla non ha rivali. Non mi vergogno ad ammettere che ho provato a copiarlo”. Un altro giocatore importante per i Balcani è il maestro delle frasi mitiche, Vujadin Boškov. Centrocampista cerebrale e direttore tecnico pluricampione con Real Madrid e  Sampdoria, con cui toccò la gloria in quella finale del 1992 persa contro il Barcellona.

Beskov, prima giocatore e poi allenatore della Dinamo Mosca

Dalla parte della squadra sovietica la maggioranza era composta da giocatori del CSKA; ma il suo uomo migliore era Konstantin Ivanovich Beskov della Dinamo Mosca. La sua preparazione fisica era superlativa, aveva prestato servizio nelle forze speciali in Moldavia e a Mosca, e grazie a ciò guidò la famosa rimonta.

Tutta la Jugoslavia stava guardando la partita compreso Tito, che aveva personalmente inviato un telegramma di incoraggiamento letto prima di scendere in campo. Lo stesso Stjepan Bobek avrebbe detto anni dopo che c’era così tanto nervosismo che non dormirono e mangiarono pochissimo il giorno prima della partita decisiva. La Jugoslavia aveva appena battuto i giocatori a piedi nudi dell’India per 10-1, e i sovietici avevano ottenuto una vittoria per 2-1 su una dura squadra,  la Bulgaria.

Bobrov fa 5-3, mentre Boškov (numero 6) cerca di impedirlo sulla linea di porta

Il 20 luglio al Ratina Stadium di Tampere, l’arbitro inglese Arthur Ellis, il famoso Arthur Ellis che meriterebbe un capitolo a parte, ha dato il fischio iniziale davanti a diciassettemila tifosi. I balcanici prendono subito l’iniziativa mostrando un gioco accattivante, associativo e di possesso palla; non invano sarebbero stati chiamati nel tempo i brasiliani d’Europa. Si susseguono uno dopo l’altro i gol: Mitićal 29′, Ognjanov al 33′ e Branko Zebec al 44′ chiudono un primo tempo perfetto per la Jugoslavia. La ripresa è appena iniziata, Bobek si unisce alla festa segnando il quarto gol. Bobrov realizza quello che pare a tutti il gol della bandiera al 53′ per i sovietici; poi Zabec, alla fine uno dei migliori marcatori del torneo, segna il quinto centro per la gioia di Tito.

Nessuno scommette un soldo sul ritorno sovietico, nemmeno lo stesso Stalin, che sta già elencando i posti per la squadra nel gulag. Ma “il calcio è calcio”; frase che Boškov ha sicuramente scritto quel giorno quando ha visto come Alexander Petrov ha pareggiato all’ultimo minuto. Altri due gol di Bobrov e uno di Trofimov avevano portato la partita a una lunghezza dal pareggio prima che l’inglese fischiasse la fine.

Trenta minuti di tempi supplementari sono stati giocati senza gol. Finìsce così la partita d’odio tra le repubbliche comuniste: 5-5. Incontro leggendario che fu solo l’inizio delle battaglie più drammatiche e violente tra queste due squadre. La partita di spareggio venne vinta dalla Jugoslavia 3-1, mettendo un intero paese a festeggiare come mai prima di allora. Il New York Times lo ha descritto come un gioco più vicino al football americano. Alla fine sarebbero arrivati ​​secondi dietro i magici magiari; una medaglia d’argento che a Tito sembrava oro per aver eliminato i suoi acerrimi rivali.

I balcanici, appena entrati negli spogliatoi dopo il tie-break, hanno scritto un telegramma di risposta a Tito: “abbiamo lottato e vinto”.

Mario Bocchio

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