Indossare la maglia della Juventus è il sogno di tanti, ma in pochi riescono a realizzarlo. Arrivare alla Juventus con l’onere e l’onore di sostituire Michel Platini può diventare un incubo, specie se non possiedi una personalità spiccata e neppure un gran talento. Nell’estate del 1987, Marino Magrin sbarca a Torino per raccogliere l’eredità e la maglia numero 10 di Le Roi Michel, impresa titanica per chiunque, specie per un timido e schivo ventottenne proveniente dall’Atalanta. In sei stagioni tra le fila della Dea, Magrin colleziona 192 presenze con 40 gol all’attivo, ricoprendo principalmente il ruolo di mezzala e dimostrandosi abilissimo nei calci da fermo.
Forse per evitare di mettergli addosso una pressione eccessiva, forse perché in cuor suo sapeva che quella maglia non poteva appartenere a nessun altro dopo essere stata di Michel, Boniperti annunciò a Magrin, il giorno della firma del contratto, che non avrebbe indossato la numero 10, bensì la 8. Marino non protestò, era sufficientemente umile per comprendere che in fondo era meglio così: “Sono consapevole dei miei limiti, per cui non cerco di sostituirmi ad un genio del calcio; piuttosto mi auguro di colmare un poco la lacuna che si è creata con la sua partenza, rimanendo me stesso sul campo e fuori. La Juventus mi ha dato la possibilità d’indossare la maglia bianconera, un sogno per molti che nel mio caso ha avuto un felice esito. Spero di contraccambiare la fiducia dimostrata nei miei confronti portando giovamento alla società e al tempo stesso anche al sottoscritto; infatti, il desiderio di migliorare la mia tecnica mi stimola ad affrontare ogni gara col massimo zelo. Il mio modo di giocare non rispecchia il ruolo suddetto nel senso più completo del termine; infatti io agisco preferibilmente come mezzala destra ed il numero sulla divisa rappresenta poi una formalità a cui non attribuisco alcuna importanza. Quello che conta sono i consigli ed i suggerimenti tecnici del Mister, mentre tutto ciò che esorbita dal calcio vero e proprio sono cavilli di esiguo valore”. In bianconero Magrin non riuscirà ad imporsi e dopo 64 partite e 8 reti in due campionati, lascerà Torino per trasferirsi a Verona (tre anni con due retrocessioni in B e un promozione in A), entrando di diritto nella Hall of Fame dei bidoni juventini. Come scrive Gabriele Cantella.
Eppure a Bergamo è ancora oggi molto amato, sicuramente l’Atalanta era per lui la squadra ideale nella quella quale poter dimostrare il proprio valore di centrocampista talentuoso. Sei stagioni in nerazzurro, con la doppia promozione dalla serie C1 alla serie A. Un centrocampista più alla Tardelli che alla Platini, come confermò il calciatore di origine veneta qualche anno più tardi.
Ruoli differenti o meno, Marino Magrin per tutti era Il Professore. Il motivo? Insegnava davvero calcio in una squadra in cui c’era bisogno di qualità e talento. Una vita tra serie D e C1, ma nel primo anno in terza serie con il Mantova – come ricorda Andrea Pasquinucci – riuscì ad attirare su di sé i riflettori.
Dopo un buon campionato l’Atalanta lo cercò per poter ricostruire la squadra e ripartire nuovamente: i nerazzurri erano retrocessi, nel 1981, e dovevano assolutamente ripartire. Serviva qualità in mezzo al campo, Magrin fu l’uomo ideale. Trattativa per nulla complicata e con pochissimi dubbi da ambo le parti: nel giro di tre stagioni, grazie anche ai gol e alla qualità del Professore, la Dea tornò subito nel massimo campionato.