Di sè dice che era un giocatore mediocre, funambolico, estroso ma limitato. Chi lo ha avuto in squadra però lo ha sempre amato. Gil De Ponti ancora oggi è ricordato con affetto a Bologna, Cesena e Avellino dove divenne l’idolo del Partenio. Bizzarro era bizzarro (“a Cesena per scherzo, girai in centro con una pelliccia portando a spasso una papera. Ridevano tutti”) ma sapeva anche fare gol. Peccato che il suo nome sia legato anche a un brutto calvario, un tumore due operazioni al cervello e il dubbio che tutto questo potesse anche essere legato al calcio.
A Museo Grigio raccontò: “Si il dubbio l’ho creato io, perché sono convinto, perché quando i casi diventano cento o più, non sono più casi è realtà. Io non dico che ci hanno dato della roba, qualcosa ha fatto male. I parenti dei miei colleghi che sono morti non hanno mai avuto soddisfazione di sapere nulla, perché vogliono insabbiare tutto, però la gente capisce non è stupida. Non può essere un caso, molti amici e compagni di allora non ci sono più, e quasi tutti per malattie simili. Ho contato più di 100 morti. A casa ho una decina di foto di squadre, piene di morti. Ho una foto del Cesena che ha più croci del cimitero di Campiombi”.
E la cosa paradossale che in molti credettero che anche De Ponti fosse scomparso. “C’era una partita di livello giovanile a Terranuova, venni a sapere che fu rispettato un minuto di silenzio in mio onore. Dovetti andar lì di persona per far vedere che ero ancora vivo. Tutto sommato, quell’episodio mi ha allungato la vita: mi ha portato fortuna!”.
Ci furono anche gli errori dei medici: “Ho avuto lo sbaglio dell’esame istologico, il tumore diagnosticato era maligno, ma avevano detto che era benigno e ho avuto sfortuna e dopo quattro anni che mi operai ci sono ricascato dentro e lì ci ho messo in ballo tutta la mia carriera da allenatore, perché era bello allenare”. Ed era bello giocare anche se lui amava anche divertirsi e ballare nelle discoteche tanto che viene presto soprannominato “figlio delle stellle” dal titolo della canzone di Alan Sorrenti.
Tanti i ricordi. L’esordio col Bologna nel 1977, con tanto di gol a San Siro (“Sì, a Milano contro l’Inter; cross del mio povero amico Stefano Chiodi, io tiro al volo e batto il portiere Bordon: una gran bella soddisfazione!”) ma con tutte le maglie: “Un derby col Napoli ad Avellino, perso nell’anno del calcio scommesse. Una mia doppietta ma non bastò anche se vincemmo al San Paolo grazie a Pellegrino Valente. Bella fu anche la vittoria contro il Brescia, l’anno dopo in Lombardia. Riuscimmo a salvarci pur avendo una penalizzazione di cinque punti. Che periodo stupendo e chi se lo scorda più”.
De Ponti si è sposato poi a Bologna dove ha vissuto a lungo e ora vive a Firenze: “Adesso faccio il tifoso. La domenica seguo sempre l’Avellino. Sono felice quando vince”.