Il rettangolo verde era il suo nido, la sua casa, il suo parco giochi su cui Eberhard Vogel amava spiegare le ali per rubare qualche minuto di libertà a un paese che difficilmente gliene lasciava alcuno. La colpa è di un regime e di una dottrina che, in una patria divisa in due, compaiono perfino sulle insegne delle città del settore sovietico. Karl Marx Stadt.
Vogel in versione giovanile
Eberhard Vogel è cresciuto nel vicino sobborgo di Niederwiesa, dove si è diplomato all’età di 14 anni con la squadra locale. Predisposto, come la maggior parte dei giovani nati nella democrazia popolare, a trascorrere la vita in fabbrica o nei campi, il giovane calciatore sfugge alla sua condizione grazie alle qualità che dimostra in campo.
Due anni dopo i suoi primi passi alla Niederwiesa SG, Vögel abbracciò la causa rivoluzionaria e si impegnò con il simbolo di un’intera regione, l’FC Karl Marx Stadt. Quello che noi chiamiamo “Matz” ha prima trascorso un periodo con gli junior della SC Motor, il vivaio del club. Formazione approfondita? Nella DDR ciò si traduce nell’apprendimento di un vero e proprio mestiere, poiché il professionismo non esiste ed Eberhard lavora come montatore. Un’educazione made in DDR dove il socialismo veglia sui suoi giovani, sportivi e non. Ma “Matz” è nato sotto una buona stella. Rosso forse ma più scintillante degli altri.
Il suo esordio con la maglia del Karl Marx Stadt coincise con il suo successo sociale. In tre anni l’uccello prende il volo. Vogel viene convocato in prima squadra per la stagione 1961-‘62 e, nello stesso anno, debutta per la prima volta in Nazionale. Seguirono altri settantatré gettoni, durante i quali segnò ben 25 gol. Un dato che lo rende il secondo capocannoniere della storia della Germania dell’Est dietro a Joachim Streich (55).
Alcune iimmagini al tempo della nazionale della DDR
Un segno indelebile e ricordi che scaturiscono dalla memoria, come la rete nella porta di Shilton nel 1970 nel tempio di Wembley, e le due medaglie di bronzo ancora appese al collo durante le Olimpiadi di Tokyo (1964) e Monaco (1972). E soprattutto l’orgoglio di aver partecipato a un Mondiale sulla terra del fratello nemico (3 partite nel ‘74) anche se non era nella squadra, per infortunio, che propose la vittoria del socialismo sul grande capitale. RFG-RDT 0-1. Jürgen Sparwasser nel cuore di un intero popolo. “Matz” vincerà comunque altri incontri.
A cominciare, prima, dal titolo nel 1967 – l’unico nella sua storia – con il Karl Marx Stadt, che lasciò nel 1970 dopo la retrocessione in seconda divisione. Vogel si trasferì dai campioni uscenti del Carl Zeiss Jena, un po’ più a ovest sulla mappa. Un aneddoto geografico che non corrisponde al suo atteggiamento sul prato. Per una dozzina d’anni (fino al 1982), ha guidato la squadra in punta di piedi. Con 118 gol segnati in circa 240 partite giocate, “Matz” è la perla rara del bucolico Enrst Abbe Sporfeld, che accende con le sue imprese.
Nel Carl Zeiss Jena
Con un marcatore del genere tra le sue fila, il club di Jena ha riempito la sua bacheca di trofei con tre Coppe nazionali (1972, ‘74 e ‘80), ma ha mancato una delle più belle: la Coppa delle Coppe del 1981.
Nella finale di Düsseldorf, ha perso contro la Dynamo Tbilisi (1-2): nonostante il vantaggio allo scoccare dell’ora, Jena ha mancato l’ultimo passaggio dopo una cavalcata eroica in cui sono cadute a turno Roma, Valencia e Sporting Lisbona. A 38 anni, il vecchio idolo sparò le sue ultime cartucce ritirandfosi alla fine della stagione successiva. Dopo 440 partite ufficiali nell’Oberliga. Un primato e un risultato ormai senza eguali dalla caduta del Muro e dalla riunificazione. Eberhard Vogel vola sopra gli altri per sempre. Un titolo onorifico che corrisponde all’immagine di un giocatore semplice e modesto, caduto dalla parte sbagliata del nido alla nascita.
Mario Bocchio