La gioia di Sandro Pertini ai gol di Rossi, Tardelli e Altobelli durante la finale mondiale contro la Germania nel 1982 è diventato uno dei pezzi di archivio più celebri della televisione italiana. Epica fu anche la figuraccia rimediata dai nostri quotidiani sportivi. I pronostici dei giornalisti italiani dopo la stentata qualificazione ai quarti di finali furono clamorosamente smentiti: Gianni Brera, uno dei più preparati e noti giornalisti italiani, aveva pubblicamente detto in tv che se la squadra italiana avesse battuto l’Argentina (e per il Brasile non si poneva neanche il problema) sarebbe andato ad Assisi a piedi per farsi frate. La squadra azzurra era ancora sotto la guida del ct Enzo Bearzot, fortemente contestato dalla stampa per aver escluso dalla rosa dei convocati giocatori di livello come l’interista Beccalossi e il romanista Pruzzo e per aver invece deciso di portare ai mondiali in Spagna Paolo Rossi, reduce da due anni di squalifica in quanto coinvolto nello scaldalo del calcio scommesse.
La rosa della squadra italiana era formata al completo da: 1 Zoff, 2 Baresi, 3 Bergomi, 4 Cabrini, 5 Collovati, 6 Gentile, 7 Scirea, 8 Vierchowod, 9 Antognoni, 10 Dossena, 11 Marini, 12 Bordon, 13 Oriali, 14 Tardelli, 15 Causio, 16 Conti, 17 Massaro, 18 Altobelli, 19 Graziani, 20 Rossi, 21 Selvaggi, 22 Galli. Intanto da Roma, al Quirinale, il presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini, seguiva dalla televisione gli eventi calcistici con trepidazione, la sua passione sportiva per tutto quello che rappresentava la maglia azzurra era nota e quando ai quarti, Maradona fu annullato da Gentile e i biancocelesti furono sconfitti per 2 a 1, si comprese subito che il timore di dover organizzare una spedizione presidenziale in Spagna per il primo tifoso italiano, era da tenere in considerazione. Ma c’era lo scoglio Brasile da superare, il dispositivo di sicurezza del Quirinale poteva star tranquillo, le probabilità di passare contro i verdeoro di Falcão erano minime.
Ma anche lì niente da fare, Bearzot intuisce che i brasiliani non si accontenteranno del pareggio che li consentirebbe di accedere alla semifinale, fa marcare Zico da Gentile e Pablito Rossi li infila per tre volte in contropiede: 3 a 2 il risultato finale, Brasile a casa e la seguente semifinale con la Polonia una formalità con altre due reti di Rossi. La mattina dell’11 luglio 1982 giorno della finalissima contro la Germania Ovest, Italo Moretti giornalista del Tg2 riceve una telefonata con un’informazione riservatissima: “Pertini ha deciso di volare domattina a Madrid per assistere alla finale di Italia-Germania. Sei tra i pochi ammessi sul suo aereo”. Quella Domenica un Dc9 dell’Aeronautica Militare parte con il giornalista, Pertini e un seguito eccezionalmente ridotto. Infatti, due ministri della repubblica voleranno a Madrid con normali aeri di linea.
Al presidente del consiglio Spadolini è stato suggerito dal Quirinale di non muoversi da Palazzo Chigi, poichè il quadro della politica italiana manifesta di nuovo tendenze alla instabilità. Quando Italo Moretti si presenta come giornalista del Tg2, Pertini esclama: “Il Tg2 non mi ama”, questo perché il Psi di Bettino Craxi “controllava” dal 1980 il Tg2 e il vecchio Sandro associava il telegiornale della seconda rete alla segreteria del suo partito, con la quale il presidente non aveva, per dire così, un buon rapporto. Ma il Presidente conosceva bene il giornalista e quando Moretti gli esterna la forte emozione che provò quando annunciò in diretta la sua elezione a capo dello Stato, Pertini lo interrompe: e poco dopo l’aereo atterra all’aeroporto di Madrid dove c’è re Juan Carlos a ricevere il nostro presidente. Di corsa all’Hotel Alameda per l’incontro con gli Azzurri.
Una raccomandazione a Paolo Rossi: “I tedeschi sono robusti, cerca di non farti pestare i piedi”. Poi un rimprovero pubblico al giornalista televisivo Giampiero Galeazzi. Bisteccone, com’è chiamato, fa sapere a Pertini che “anche il suo omologo Schmidt assisterà alla finale”. “Ma che omologo e omologo”, sbotta il vecchio Sandro con finta severità, “Schmidt è un cancelliere mentre io sono un presidente della repubblica”. Quella domenica sera allo stadio Santiago Bernabeu erano seduti vicini in tribuna, un re, un presidente della repubblica e un cancelliere di stato. L’incontro cominciò subito male per l’Italia con Cabrini che al 24’ sbagliò un tiro di rigore ma gli Azzurri avevano la grinta giusta e non si lasciarono demoralizzare. Al 56′ Paolo Rossi, forse il più contestato di tutti, riuscì a mettere a segno il gol del vantaggio italiano. Il sogno era vicino e solo dieci minuti dopo, Conti fece assist a Marco Tardelli, che con un tiro sinistro al volo, mise in rete il secondo gol azzurro. L’urlo di gioia di Tardelli, per lo splendido gol segnato, divenne poi un’ icona di quei Campionati del Mondo e delle successive avventure della nazionale italiana. Come per lungo tempo fece emozionare l’esultanza, dalla tribuna d’onore, del presidente Pertini. Ma l’incontro non era ancora terminato. Altobelli siglò il terzo gol azzurro che mise fine all’incontro.
Pochi minuti dopo il tedesco Breitner segnò l’unico gol tedesco, ma le sorti dell’incontro erano ormai segnate: l’Italia riuscì a raggiungere, per la terza volta dopo ben 44 anni, la vetta del mondo. Nelle case degli italiani esplodeva l’emozionante grido di gioia del telecronista Martellini: “Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!“. Due ore dopo all’ambasciata d’Italia a Madrid, gli invitati al ricevimento allestito dai diplomatici erano in attesa del presidente italiano ma invano. Pertini se n’è andato al Tablao Flamenco di Madrid, dove si cena e si assiste allo spettacolo di canto e ballo andaluso…
Siedono con lui, il segretario generale Maccanico e qualche funzionario del Quirinale. Siamo in Spagna, dove la cucina non propone brodini. Pertini sceglie a voce alta una zuppa con l’aglio. E rivolto al maître esclama: “Stasera si può con l’aglio, perché no tenemos mujieres”. “Siamo senza donne”, traduce per chi non avesse capito. Lunedì mattina, il Dc9 riporta a Roma i campioni del mondo, i tecnici e i dirigenti della federazione calcistica, il presidente del Coni Franco Carraro e qualche personalità ammessa a bordo senza che il presidente lo sapesse. Sandro aveva tenuto il governo lontano dall’evento e adesso scopre indignato che nel suo aereo, con i suoi ragazzi, sta volando il ministro per il Turismo Sport e Spettacolo senatore Nicola Signorello. È tardi per farlo scendere. Rimangono nella storia e nel cuore di tutti gli italiani, le immagini del capitano Zoff che gioca a scopa contro il presidente Pertini con la Coppa li sul tavolo, nel viaggio di ritorno in patria. La regia dell’arrivo all’aeroporto di Roma è sua. Ordina al generale che comanda eccezionalmente il Dc9 di eliminare gli elicotteri per il trasferimento al palazzo del Quirinale. È lui che scende prima di tutti, seguito da Bearzot che innalza la Coppa. Il trofeo passa poi a Zoff che gli sta dietro, e dal portiere, a uno a uno, a tutti gli altri calciatori. Lui la Coppa non ha voluto prenderla in mano, né all’aeroporto né più tardi davanti allo stuolo di fotografi, ai quali dirà: “No, no, io la Coppa non la tocco, l’hanno vinta loro, è soltanto la loro».
Al pranzo in onore dei campioni del mondo il ministro Signorello fa disporre il suo posto alla sua destra: “Ancora Signorello”, grida Pertini fingendo di non accorgersi che il ministro lo sta ascoltando. “Questo è il pranzo in onore dei campioni del mondo: voglio alla mia destra Bearzot e alla mia sinistra Zoff, il capitano”. A tavola il protagonista è naturalmente lui, l’instancabile presidente. “Che faccia aveva Schmidt?”, gli domandano.
“Quella di un cane bastonato, ma presto lo inviterò a pranzo, a lui piace mangiar bene”. “E un altro abbacchiato – soggiunge Pertini – ieri era Kissinger. La partita lo faceva soffrire, perché dovete sapere, ragazzi, che Kissinger è tedesco”. Il presidente Sandro Pertini, che è scomparso nel 1990 a 93 anni, è andato spesso oltre il suo ruolo istituzionale e il suo mandato presidenziale fu caratterizzato da una forte impronta personale che gli valse una notevole popolarità, tanto da essere ricordato come il “presidente più amato dagli italiani”.
Tratto da: Claudio Evangelisti, “Il Popolano”