Il 29 giugno 1982 all’ Estadio de Sarrià va in scena Italia-Argentina, valida per la prima giornata della seconda fase a gironi dei Mondiali. Gli azzurri di Enzo Bearzot arrivano fra mille polemiche, dopo aver passato il turno in maniera sofferta, con tre pareggi in altrettante partite, contro Polonia, Perù e Camerun. Inserita in un secondo girone di ferro con Argentina e Brasile, sembra non esserci storia per i nostri che invece si presentano alla sfida contro l’albiceleste trasformati: dopo un primo tempo a reti inviolate prima Marco Tardelli, poi Antonio Cabrini firmano l’uno-due. Passarella accorcia le distanze ma non basta, i primi due punti vanno all’Italia. È la svolta del nostro cammino che porterà fino all’incredibile vittoria finale del torneo.
Quarant’anni dopo, Italia-Argentina emoziona ancora. Il Sarrià è stato demolito, al suo posto un centro commerciale. La gara con il Brasile di sei giorni dopo sarebbe entrata nella memoria collettiva, ma è contro i campioni in carica, con Diego Armando Maradona già totem incontrastato, che cambia la parabola di un gruppo di uomini, sopravvissuto con mille paure alla fase a gironi, accompagnata da polemiche feroci e sfociata nella decisione dei giocatori di varare il silenzio stampa.
L’espulsione di Gallego fu il sigillo a una sconfitta meritata: gli azzurri quel pomeriggio furono superiori. L’azione del raddoppio fu un manifesto di contropiede e talento: la finta di Conti, che manda gambe all’aria tutta la difesa avversaria e libera la stoccata di Cabrini, è uno dei gesti tecnici di quel torneo. La botta all’incrocio del terzino della Juventus fu la stoccata del torero e liberò la gioia degli italiani.
Cabrini, possiamo dire che quel gol fu uno dei più importanti, se non il più importante in assoluto della sua carriera?
«Possiamo dirlo, anche per l’importanza dell’avvenimento. Quel successo fu la tappa decisiva del mondiale. Se non avessimo battuto l’Argentina, non staremmo qui, quarant’anni dopo, a parlare dell’Italia campione».
Fase eliminatoria sofferta e qualificazione grazie a una rete in più rispetto al Camerun, poi arriva l’Argentina e la nazionale spicca il volo: che cosa cambiò la storia?
«Affrontare un avversario di quel livello scosse il nostro orgoglio. Venivamo da giorni difficili, segnati da polemiche e articoli sui giornali in alcuni casi persino violenti. Il silenzio stampa fu la risposta ad accuse pesanti, persino vergognose. Dovevamo reagire dando un segnale all’esterno. Eravamo solo contro tutti: se fosse andata male con l’Argentina, sarebbe stato un massacro».
Come preparaste sul piano tecnico la sfida contro i campioni del mondo in carica, rinforzati dal genio di Maradona?
«Il copione fu lo stesso di sempre: esame dei video, lezioni tattiche. Bearzot fece un’operazione molto semplice: affidò Maradona al nostro miglior marcatore. Gentile fu gigantesco, ma tutta la squadra disputò una gran partita».
Come la presero gli argentini in campo?
«Conoscevamo bene alcuni di loro. Forse furono spiazzati dalla nostra prestazione. La sconfitta in un girone a tre in pratica era l’addio al mondiale, anche se un successo contro il Brasile avrebbe potuto rimettere tutto in discussione».
Passaste dal fresco della Galizia al caldo di Barcellona. Pronti via alle 17,15 con temperature elevate, ma la gestione del match fu perfetta.
«Il Sarrià era diviso a metà tra argentini e italiani. Lo stadio era piccolo, ma affascinante. Uno stadio modello arena, il fiato del pubblico sul collo e noi al centro della corrida. Uno scenario affascinante».
Firmò il 2-1 infilando il pallone all’incrocio.
«Dal punto di vista tecnico non fu facile: tirai di prima intenzione, la miglior soluzione possibile in quel contesto».
Quante volte lo ha rivisto?
«Non trascorro certamente le mie giornate sulle varie piattaforme per rivederlo, ma quando succede, è sempre una grande emozione».
All’epoca non esistevano i telefoni cellulari e i contatti con le famiglie avvenivano attraverso la linea fissa degli alberghi: che successe a casa Cabrini quella sera?
«Genitori e fratello erano al Sarrià. Incontrai i miei dopo la partita».
Gli occhi dei suoi cari?
«Ai nostri tempi le emozioni erano più riservate. Parlavano gli occhi. Quelli della mia famiglia brillavano».
L’importanza di Bearzot in quel mondo?
«Fu il trascinatore di un gruppo di grandi giocatori e grandi uomini».
L’impresa dell’Italia, campione del mondo per la terza volta dopo i titoli del 1934 e 1938, trascinò un paese per strada.
«La nostra nazionale fece la storia. Aiutammo l’Italia a mettersi alle spalle anni difficili, segnati dal terrorismo, tensioni sociali e crisi economica. La nostra spinta fu decisiva. Ricordo con orgoglio quei giorni. Quella squadra scrisse una pagina di storia».