Siamo agli inizi degli anni Ottanta. Nel massimo campionato elvetico sono molti i giocatori nati in Italia, il partenopeo Ponte, il biellese Trinchero e il siciliano Cucinotta fra gli elementi di maggiore spicco. Ma è anche interessantissima la storia di Mantoan, l’allenatore che sfuggì a un’alluvione.
Parla anche italiano il calcio svizzero. Perchè a rappresentarlo ci sono atleti nostri connazionali che anni prima, ancora in pantaloncini corti emigrarono con i genitori alla ricerca di un lavoro nella Confederazione.
Questi ex ragazzini hanno fatto ricco (e grande) il calcio elvetico. Primo fra tutti Raimondo Ponte, sangue napoletano, mezza punta del Grasshoppers e della Nazionale. Ponte è di Casalnuovo, in provincia di Napoli. Si trasferì in Svizzera con i genitori e una sorella nel 1960. Aveva cinque anni.
Umberto Barberis nella Svizzera (a sinistra) e nel Seervette
Diciassettenne giocava nell’Aaràu in Serie B, nel 1975-‘76 approdò al Grasshoppers, la più titolata squadra del calcio svizzero. A22 anni, “tradito” dal “suo” Napoli che si interessò appena marginalmente del conterraneo d’oltre frontiera, accettò la cittadinanza elvetica. E in Svizzera Ponte è diventato una pedina fissa della Nazionale, dopo aver giocato anche in Inghilterra nel Nottingham Forest.
È stato un personaggio, così come lo è stato Umberto Barberis, piemontese di Omegna, altro punto di forza della Nazionale rossocrociata, che dal Servette ha spiccato il volo per Montecarlo. La vecchia guardia degli italiani di Svizzera è completata da SergeTrinchero, di Biella, libero e capitano del Neuchatel Xamax, e da Franco Cucinotta, di ceppo messinese, già attaccante dello Zurigo e del Servette, poi del Sion.
Serge Trinchero nel Sion (a sinistra) e nel Servette
Roberto Fregno, veronese, è stato una mezz’ala che sapeva ben inserirsi all’attacco e che, all’occorrenza, ritornava a rimpolpare il pacchetto difensivo. Ha sempre voluto giocare in Italia: “Non intendo più essere un emigrante. Voglio tornare in Italia e continuare a fare il calciatore in un club professionistico. Giudico il calcio italiano più bello e più tecnico, ed è proprio per giocare in modo più completo che farò di tutto per trasferirmi in una squadra di Serie A o di B”. Non c’è mai riuscito, anche quando andò via dallo Zurigo, finendo di chiudere la carriera a Lucerna.
Roberto Fregno
Tra gli allenatori, come detto, spicca la storia di Lino Mantoan, che è tutta da raccontare. Abitava nel Polesine, ad Adria. Nel 1951 nell’ alluvione che seminò morti e danni, a cinque anni venne strappato dalle acque e consegnato alla Croce Rossa che lo affidò a una coppia di sposi di Neuchâtel. Rientrò ad Adria, frequentò la scuola ma, ragazzino, tornò con i coniugi svizzeri. Trovò lavoro in una fabbrica di orologi e si mise a giocare a calcio. Poi è diventato allenatore, anche osannato dopo quanto fatto alla guida dello Chaux-de-Fonds.
Mario Bocchio