“Ho visto giocare Beckenbauer contro l’Italia, contro di me. Era il centrocampista difensivo più forte del mondo. Nessuno è stato come lui e lo dimostrò restando in campo contro di noi col braccio al collo, senza che il suo contributo diminuisse per quella menomazione”.
È il ricordo ammirato di Franz Beckenbauer firmato Mario Bertini, mediano dell’Italia che sconfisse per 4 a 3 la Germania nella storica semifinale dei mondiali di Mexico ’70.
Bertini è nato a Prato il 7 gennaio 1944: ha compiuto ottant’anni lo stesso giorno in cui Kaiser Franz se n’è andato, dopo lunga malattia.
Bertini parla dell’avversario con assoluta venerazione. “La sua grandezza in campo risiedeva nell’essere un mediano difensivo che non si limitava a marcare l’avversario, ma costringeva a farsi marcare: appena la Germania riconquistava la palla si trasformava in giocatore offensivo e creava superiorità per la sua squadra e problemi per chi lo affrontava”.
“Mediano difensivo”, “centrocampista difensivo” suonano come definizioni inconsuete per chi ricorda il Kaiser come libero del Bayern Monaco e della Germania campione d’Europa nel ’72 e del mondo due anni dopo. “Così giocava contro di noi” spiega Bertini, alludendo ai tedeschi che schieravano in difesa Vogst, Schnellinger, Schulz e Patzke, mentre Franz sulla metà campo arretrata sosteneva Overath.
“Beckenbauer ha vinto due Palloni d’oro perché era il migliore in assoluto. Non era inferiore nemmeno a Pelè, anche se io sono convinto che ogni anno andrebbero assegnati più Palloni d’oro, in base ai ruoli. Beckenbauer lo avrebbe meritato sempre come centrocampista difensivo, Pelè come mezzala di punta, ma i due si equivalevano, erano giocatori completi, i migliori nei rispettivi ruoli”.
E Bertini, ha un ricordo speciale di Beckenbauer? “Ci ho giocato contro solo in Italia-Germania, non ho nessun aneddoto che ci veda protagonisti assieme”. Ne ha uno con Seeler, il capitano di quella Germania con cui ingaggiò un duello durissimo, con colpi proibiti. “Alla fine, nonostante le botte prese e date e la sconfitta bruciante mi venne incontro tendendomi la mano. Fu una lezione di vita”.
Bertini nacque in via dei Tintori a Prato, bombardata dagli alleati, in quei primi giorni del ’44. “Venni alla luce in un rifugio e da bambino mi chiamavano ‘Rifugino’”. Il calcio come passione e occasione per ripartire dopo la guerra. “Giocavo in piazza, con le scarpe con cui andavo a scuola”, ricorda.
Dalla piazza al Lungobisenzio con la maglia del Prato, il passo fu breve. Poi Empoli, Fiorentina e Inter, con lo scudetto del 1970-‘71. Rimini e addio calcio, in ogni forma, per vivere a Bergamo come imprenditore nel settore dell’abbigliamento. Ora gli ottant’anni. Come se li sente, Bertini? “Bene, ogni tanto faccio qualche tagliando. Ma va tutto bene“.