James Schwarzenbach non è uno stopper tedesco. E’ il leader di Azione Nazionale , un partito xenofobo svizzero che, dalla seconda metà degli anni Sessanta, vuole cacciare via gli immigrati, in maggioranza italiani.
Sono oltre mezzo milione. Sono quelli della rubrica Saluti a casa, prima coproduzione internazionale televisiva della storia , in cui raccontano le novità ai parenti rimasti in Italia . Messaggi in bottiglia trasmessi, ovviamente in differita, dalla Rai e dalla Televisione della Svizzera-Italiana. Facenti funzione di Skype con quarant’anni di anticipo.
Sono finiti nell’edilizia, nell’industria meccanica e nelle cucine a lavare piatti. Sono in gran parte meridionali. Il processo d’integrazione è in atto. Grazie a quell’intelligenza e laboriosità esercitate più agevolmente all’estero che da noi. Pare non puzzino come prima, anche se non hanno dimenticato quel lunghissimo viaggio in treno.
Nel referendum del giugno 1970 Schwarzenbach perde di misura (46%) e gl’immigrati possono rimanere. Poi a ottobre, a Berna, c’è Svizzera-Italia e accorrono a decine di migliaia per cercare il riscatto da infinite sofferenze. Dai cartelli dei ristoranti e dei bar: “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. E dallo scandalo dei bambini italiani ai quali è negato il ricongiungimento con i genitori che fanno i lavoratori stagionali. Nel contratto di lavoro c’è la clausola “senza la facoltà di condurre la propria famiglia con sé ”. Bambini che devono vivere in Svizzera clandestinamente, mangiare o giocare senza fare rumore . Qualcuno nascosto nell’armadio. Neonati compresi. Per evitare le denunce dei vicini alla polizia elvetica. Per non finire all’orfanotrofio al confine. Se ne calcolano almeno quindicimila.
Diceva Schwarzenbach che i bambini degli immigrati “sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano lo stesso benessere dei cittadini”. Così Svizzera-Italia del 17 ottobre è il momento dell’orgoglio dell’esule . Ma anche il pretesto per sovvertire le gerarchie sul lavoro. Per andare in giro a testa alta. Si trepida per Mazzola e Riva, Albertosi e Rivera, i vicecampioni del Mondo e Campioni d’Europa in carica. E chissà, potrebbe essere anche una grande festa. Anche se è solo un’amichevole. Anche se serve la vittoria. Anche se poi non cambia nulla.
La partita viene organizzata per festeggiare i settantacinque anni della federazione elvetica. Per via di infortuni, impegni con le squadre di club e del carattere amichevole della partita, il clima tra gli azzurri dovrebbe essere sereno. Anzi rilassato. E poi gli svizzeri sono per lo più semi-professionisti, lontani dai radar del grande calcio da tempo.
Lo stesso Valcareggi sembra inizialmente rilassato. Dopo le dimissioni di Mandelli, ha guadagnato il diritto in pubblico di esprimere le sue opinioni. Ma tutto cambia in un’ora. Appena fa cenno ai suoi progetti di formazione. Pensa alla solita staffetta Rivera-Mazzola e raddoppia: ci sarà anche quella Juliano-De Sisti. Insomma alternerà tra primo e secondo tempo quattro interni. Altra staffetta sarà quella nel ruolo di stopper fra Rosato e Niccolai.
Si sussurra che Valcareggi voglia soltanto nascondere la staffetta “vera” in mezzo a tante. E si scatena un putiferio. Altro che i soliti giornalisti pronti a surfare sulla polemica. Perché i calciatori sembrano non aspettare altro.
Da un po’ Mazzola e Rivera sono controllati a vista dalla stampa: sotto la lente se si salutano, se si parlano, se si stringono la mano. I due sembrano imbarazzati anche perché “non abbiamo nulla l’uno contro l’altro”, rassicura l’interista. Ma è pronto alla schermaglia: “In Messico nessuno mi parlò di staffetta fino alla quarta partita : giocavo e basta . Poi mi dissero che io avrei disputato il primo tempo e Rivera il secondo. Era una competizione breve e da affrontare senza indecisioni : accettai. Valcareggi non mi ha ancora detto nulla. Se mi dirà che a Berna debbo giocare un tempo, ci penserò e poi risponderò di sì o di no . A priori io non accetto nulla. Poiché sono abituato a ragionare, ne parlerò con il signor Valcareggi al momento opportuno”.
Gianni Rivera è rimasto scottato dal trattamento subito nelle prime partite messicane. E dai sei minuti della finale, rapida abiura di Valcareggi. “Non sempre posso entrare in campo nel secondo tempo e risolvere una situazione. Tanto più che la colpa di eventuali insuccessi è sempre mia. L’ambiente è lo stesso del Messico. Andare in campo sapendo di doverne uscire dopo quarantacinque minuti, ma scherziamo? Lo facevo nell’Alessandria quando avevo quattordici anni e mezzo. E poi, se uno va bene , è il migliore in campo nel primo tempo, che si fa : lo si leva perché così si è stabilito in partenza? Incredibile. Per me la staffetta non ha ragione di esistere , perché o un giocatore merita di giocare, e allora deve fare tutta la partita, oppure non lo merita e se ne sta fuori. Sembra fatta apposta per stroncare psicologicamente un calciatore . E’ chiaro che preferisco una soluzione radicale. Si decidano, l’incertezza della formazione non giova a nessuno”.
Dopo la finale col Brasile, Rivera è diventato l’eroe , la vittima e i compagni di squadra non possono che risentirne. Ecco spiegata la minaccia di diserzione di Mazzola. Che dal Messico è stato accolto come uno sconfitto.
Qualcuno rievoca presunti “gruppi di potere” che avrebbero fatto fuori Rivera in Messico e l’amichevole rischia di diventare un’appendice o il luogo ideale per un regolamento di conti. E gli emigrati una cornice come tante. Poi salta fuori addirittura l’ipotesi di un piano diabolico di Mazzola : ritirarsi all’annuncio della formazione per scaricare tutta la responsabilità su Rivera. E una soluzione arriva subito : un dolorino alla coscia sinistra del rivale. Lo si era visto zoppicare in Milan-Sampdoria di campionato, ma poi aveva proseguito. Nonostante il bollettino medico , si pensa comunque lo stesso a uno stiramento “diplomatico”.
Rivera non giocherà. Nemmeno sei minuti. Al suo posto viene convocato d’urgenza il fiorentino Merlo. A casa anche Rosato e gioca Niccolai. Non si parte in aereo, ma con due carrozze riservate sul direttissimo Milano-Berna. Qui si consuma il dramma di Valcareggi che si barrica dentro: “Non parlo e non parlerò mai più”. Mazzola è stufo “Il problema della staffetta non è risolto: è solo rinviato. Una staffetta come la nostra è possibile solo in un Paese in cui il calcio venga da tutti interpretato in maniera diversa da noi”. Quando qualcuno gli chiede: “Se adesso le proponessero la staffetta con Merlo?”, Mazzola si trattiene: “Dovrei pensarci”. Sull’orlo di una crisi nervosa è anche De Sisti, che per la prima volta viene messo in discussione.
Un gruppo ingovernabile di calciatori, simbolo del nostro Paese, arriva giovedì 15 ottobre nel mini-ritiro di Thun, accolto da un folto gruppo di emigranti . Urlano “Riva , Riva”. C’è poi una grande cartello : Forza Italia. Perchè i nostri connazionali se ne infischiano delle polemiche, dei mal di pancia (o di gamba) e del dogma dell’incompatibilità Mazzola-Rivera: alle 15.30 di sabato, Berna va espugnata.
Mazzola inizia ad acclimatarsi: “Quanto amore e quanta voglia di rivalsa c’è nelle parole di quella gente che lavora in un Paese straniero che non la ama. E’ un coro di Fatelo per noi. Per un giorno fateci sentire orgogliosi di essere italiani. Quando giochi in questi posti , ti senti un debito verso queste persone che vivono una condizione difficile e quindi cerchi di dargli soddisfazioni”. Il carico di responsabilità è tutto su di lui. E comincia a dar corpo anche alle ombre. Invidia davvero Rivera che è rimasto a casa . Vuole alienarsi. “C’è gente che mi giudica ormai in declino, anche fisico”.
Alla comitiva si unisce il presidente federale Artemio Franchi che minaccia provvedimenti disciplinari. In poche ore Valcareggi ritrova la parola e non a caso: “Se qualcuno lamenterà qualche doloretto, non lo impegnerò al massimo. Sulle possibili sostituzioni non mi pronuncio, perché sennò va a finire che stanotte succede qualcosa”.
Svizzera: Kunz, Boffi, Perroud, Chapuisat, Weibel, Kuhn, Balmer, Odermatt, Blaettler, Kunzli, Wenger. Italia: Albertosi, Poletti, Facchetti, Juliano, Niccolai, Cera, Domenghini, Mazzola, Gori, De Sisti, Riva. Mancano anche Bertini e Burgnich, infortunati.
Il tifo a Berna è assordante, quasi tutto per l’Italia . Quasi trentamila emigrati. “Pensavo che valesse la pena vincere assieme a loro”. Mazzola inizia con le scarpe sbagliate per quel terreno pesante. Inventa subito per Riva, che la manda in curva. Poi gli svizzeri eseguono una partitura gradevole. Sono passati quindici minuti e la spalla di Pierluigi Cera corregge un tiro di Blaettler, spiazzando Albertosi: Svizzera-Italia 1-0. Il duo Odermatt-Kunzli imperversa nella nostra metà campo, dove De Sisti, Juliano e Mazzola arrancano senza logica.
La reazione azzurra c’è solo nella ripresa . Non produce che qualche offensiva sporadica fino al cross di Gori che Domenghini, di testa, manda a baciare il palo a portiere battuto. Riva cerca invano tempi e spazi, senza esito. E’ tra i più fischiati.
E’ entrato Ferrante per l’incerto Juliano, mentre Cera passa in mezzo al campo. Poi l’avvicendamento previsto Albertosi-Zoff. Mazzola ha cambiato scarpe e gioca meglio. Poi lungo cross dell’incontrastato Odermatt che libera Blaettler . Sinistro al volo da copertina e la traversa ci evita Caporetto. Poi la palla rimane imprigionata tra Zoff e Niccolai. Sulle tribune qualche nostro connazionale pensa di darsi malato. E la staffetta non c’entra.
In un’ora abbondante siamo stati capaci di produrre solo due palle gol e alcuni tifosi azzurri si lanciano sulla panchina di Valcareggi. Iniziano a prenderne a pugni la tettoia. Albertosi e Boninsegna cercano di placarli. Qualcuno stacca l’asta da una bandiera sventolata senza sosta dall’inizio . Non si deve almeno perdere. L’asta viene usata per riprendere a bussare selvaggiamente sulla panchina. Poi viene scaraventata in campo . La prende Bonimba, ma non la mette al sicuro. Anzi , inizia a brandirla contro i tifosi .
La sconfitta peserebbe sulle spalle di Valcareggi come da copione. Ma anche su quelle di Mazzola, reo di aver gettato benzina sul fuoco per un’amichevole. Dalle tribune intanto s’invoca proprio Rivera. Poteva essere il suo alibi, ma adesso non serve. E al ritorno in Italia per Mazzola ci saranno i riveriani e forse ancora i pomodori. Lui adesso c’è e non si tira indietro. E’ un fascio di nervi : “Era impossibile perdere perché alla dogana ci sarebbe stata una barriera”. Coperto dal fido Domenghini, avanza il raggio d’azione e prova a suggerire . Gli svizzeri si chiudono in un bunker, non mollando un millimetro. Fino a cinque minuti dalla fine.
“Lì è stato un momento strano , come di pazzia. Con la palla rinviata dalla difesa, io ho cercato di fermarla, ma sembrava impazzita. Vedo un mare di maglie rosse. Continuo a farla passare sopra la testa degli avversari”. Un andamento forse inconsciamente sinusoidale finchè la palla non tocca terra. Come il vibrato di un cantante. Tutti trattengono il respiro. Mazzola è bravissimo a tenerla bassa. La lascia rimbalzare per questo. Il portiere si è già arreso. Sono passati parecchi secondi. “Che non ho capito se sono stati un lampo o un’eternità. Quando ho visto che la palla s’infilava nel corridoio fra due svizzeri e batteva a terra , mi sono girato verso i compagni . Non l’ho neanche seguita mentre entrava in rete”.
Diventa il gol-copertina della domenica sportiva inglese 1970-’71: “Non posso ripetere cosa ho urlato al momento del gol . Mi si è dipinto come un disonesto, esattamente come era accaduto subito dopo il Messico. Purtroppo io non avevo nessun malanno e non potevo inventarmelo . Ho chiesto di non giocare perché non potevo più accettare la situazione creatasi in Messico. Desideravo che giocasse Rivera, perché era lui che l’opinione pubblica aveva scelto. Avevo parlato di tutto questo con Valcareggi . In questa partita e in questo gol ci ho messo tutto me stesso. Mi sono soltanto difeso”.
Valcareggi minimizza . Dice di non essersi quasi accorto della contestazione. Nello spogliatoio intanto è festa: tifosi dappertutto a chiedere maglie e autografi in mezzo a giornalisti, accappatoi, valigie e altri ospiti. Arriva Clay Regazzoni e via a chiedere l’autografo anche a lui.
Poi gli azzurri si preparano al rientro in Italia, ma ci sono ancora tifosi fuori ad aspettarli. Molti delusi agitano ancora le aste delle bandiere. Qualcuno urla “Cambiate squadra. Valcareggi, te ne andrai anche tu ” . Altri chiedono ancora le maglie.
Per una volta s’invertono i ruoli: gli emigranti fanno i capricci, i calciatori prendono il treno.
Ernesto Consolo
Da Soccernews24.it