Siamo frutto di un fraintendimento, a dir la verità. Parlo di noi, del nostro mondo e di quel settantottesimo minuto.
La cosa che ci fa realmente impazzire di quel minuto non è che quel settantottesimo minuto si sia privato di un attimo di sé stesso per regalarlo alla storia e all’eternità. Una mezza finta con il busto, destro secco e Sepp Maier battuto. Epico, incredibile, impensabile. Davide che batte Golia ce l’avete detto troppe volte, è bene parlare di cose concrete: il comunismo che batte il capitalismo. I simil dilettanti che gelano i campioni. La Germania Est che batte la Germania Ovest. Già questo per noi è abbastanza, ma in realtà siamo di più.
Siamo quell’attimo prima all’attimo eterno.
Il controllo di faccia di Jürgen Sparwasser. Non ne ha mai parlato nessuno tant’è l’importanza dell’attimo dopo, del gol, ma è almeno ugualmente importante. Quel gol senza quel controllo varrebbe mille volte meno. Batterli con una prodezza sarebbe stato mettersi al loro livello, batterli con le loro stesse armi. Bello, ma non adatto a noi.
Noi siamo noi e loro sono loro. Loro sono gli autori di uno del miglior calcio mai giocato, noi no. Non lo siamo mai stati e non lo saremo mai.
Il gol più importante della storia è stato fatto con un controllo di faccia, ma ci credete? La poesia di quel naso schiacciato, l’orgasmo di una palla troppo bassa per metterla giù con la nuca e troppo alta per un raffinato stop di petto. Un’opera dadaista, il sovvertire ogni regola del buon gusto calcistico. La Fontana di Duchamp in ogni minimo dettaglio. Un pisciatoio spacciato per opera d’arte. Presentarsi all’appuntamento con la Storia con una schifezza di controllo palla. Quando l’abbiamo visto per la prima volta ci siamo messi le mani nei capelli.
Abbiamo scelto di essere questo, perché di questo c’era bisogno. Con quel nome non abbiamo mai voluto appropriarci del goal, ma di quel controllo di faccia e di quello che c’è dietro. Abbiamo scelto di parlare di, appunto, tutti gli stop di faccia del mondo del calcio. Storie di perdenti o storie di vincenti inadeguati, perché a nostro agio nella vittoria non ci siamo mai sentiti. Una triste abitudine, ma così è.
Come la Germania Ovest che poi lo vincerà quel mondiale e la DDR che viene sbattuta fuori senza rispetto e riconoscimento per l’impresa compiuta qualche settimana prima. Così è ancora più bello.
Quel che facciamo, scriviamo, raccontiamo ha però una prerogativa: l’antifascismo. La nostra linea politica, alla quale mai e poi mai rinunceremmo per qualche likes in più e per un pubblico più ampio, non viene da quella squadra, la Germania Est. Sparwasser quel muro lo salterà dando vita al leggendario aneddoto della spia della Stasi che, sconsolato, si lascia andare in uno “no, spari no..”.
La nostra linea politica deriva dalla seconda volontà: omaggiare il Dio del calcio.
Non il Dio di Kakà e Legrottaglie. Un Dio che spezza ogni catena, ogni foglio di via e ogni muro. Il Dio di Mavuba, nato nel battello che lo portava dall’Angola alla Francia e diventato poi pedina fondamentale del centrocampo della nazionale francese. Il nostro Dio.
Marenostro tu sai chi li guida
è quel Dio che non ha frontiere
che cammina sull’acqua e sul fuoco
e che spezza tutte le catene
è il Dio di tutti i colori
che combatte la fame e la guerra
e per lui nessuno è straniero
come in cielo così come in terra
Un calcio che non vi apparterrà mai ma nel quale siete la stramaggioranza. Un calcio pregno di sessismo, razzismo, machismo e maschilismo fin dall’ultimo livello per arrivare alla Serie A.
Troppo facile regalarvelo, troppo facile tirare i remi in barca. Troppo facile fare il gioco di quella sinistra che non ha capito come funziona la società contemporanea e lascia nelle vostre mani questo splendore.
Questo controllo di faccia. Cose che non avrete mai finché ci saremo noi perché, fino all’ultimo respiro che ci verrà concesso, non la smetteremo mai di raccontarvi quel che il calcio è e quello che non sarete mai voi.
Al nostro calcio.