Fino al 2008 la Spagna era una delle grandi incompiute del calcio europeo e mondiale. Con un Europeo vinto nel 1964, alla prima partecipazione, era una squadra che non aveva mai espresso a pieno le potenzialità. Le campagne precedenti delle Furie Rosse avevano visto un’eliminazione ai gironi a Euro 2004 sotto la guida di Iñaki Saez e un’estromissione agli ottavi per mano della Francia ai Mondiali 2006 in Germania. Il tecnico della spedizione in Germania è Luis Aragonés ma le cose non vanno benissimo e le critiche sono feroci: lui non si scompone e va per la sua strada. Lavora sodo e all’arrivo in Austria nessuno crede che la nazionale spagnola possa essere candidata alla vittoria. Aragonés diede inizio ad un ciclo incredibile.
“Come abbiamo giocato nel 2008 è stato spettacolare, non solo dal punto di vista offensivo ma anche per la nostra disposizione in campo. Abbiamo vinto senza la leggendaria furia spagnola, giocando di prima e affidandoci ai campioni. In questo senso Luis Aragones è paragonabile a Cruijff” sono queste le parole di Xavi Hernández, uno dei pilastri di quella squadra.
“Toque y movimiento”. Questa è la filosofia di Aragonés che i suoi ragazzi recepiscono alla perfezione e da quel momento prende vita la “rivoluzione spagnola”. Quella messa in mostra agli Europei del 2008 è stata una superiorità soprattutto nel palleggio e difendendo con il pallone tra i piedi. Sì, esatto. È stato questo – come racconta Vito La Morte su “Fanpage” – il vero cambiamento nell’impostazione del gioco della Spagna. I fraseggi di Xavi Hernández e Iniesta, i gol di David Villa (capocannoniere del torneo), la lucidità di Marcos Senna e una difesa granitica composta da Ramos, Marchena, Puyol e Capdevila porta la nazionale a dominare in lungo e in largo. La rosa di Aragonés si fondava sui gruppi di giovani del Real Madrid e del Barcellona con l’aggiunta di giovani di caratura internazionale come Fernando Torres, David Silva e David Villa. A impressionare di più è la carta d’identità di quella rappresentativa: 26,4.
Dopo la vittoria dell’Europeo in Svizzera e Austria, Luis Aragonés lascia la nazionale. Al suo posto arriva Vicente del Bosque. L’ex allenatore del Real Madrid continua nel lavoro fatto dal suo predecessore e la Spagna diventa una corazzata: possesso palla totale e gioco veloce in verticale appena si crea la situazione adatta.
Non è un gioco basato su movimenti studiati ma si basa sulle letture dei giocatori: la tecnica e l’intelligenza dei calciatori della “Roja europea” di muoversi senza palla permette di trovare sempre un compagno libero.
L’avvicendamento alla guida tecnica ha portato qualche cambiamento di uomini: Senna è sostituito da Xabi Alonso e Busquets in mediana e i giocatori offensivi con i loro movimenti riescono sempre a ricevere palla per affondare. L’Europeo del 2012 ha visto l’affermazione del “falso nueve” grazie alla caratteristiche di Fàbregas e al suo movimento tra le linee che crea spazio per gli inserimenti e nuove linee di passaggio. Se nella campagna del 2008 la Spagna era partita senza alcuna pretesa, nel 2012 le Furie Rosse sono candidate alla vittoria finale dopo il Mondiale vinto in Sudafrica. Un percorso senza intoppi che è finito con la vittoria roboante nei confronti dell’Italia nell’ultimo atto del torneo.
Una generazione di fenomeni che, volendo azzardare un paragone storico, è riuscita in quello che avrebbe dovuto fare l’Olanda degli Anni ‘70: vincere e farlo con un’idea di gioco innovativa. Uno stile di gioco passato alla storia che ormai viene associato subito alla Spagna ed è entrato a pieno nella cultura calcistica del paese tanto da essere utilizzato anche dalle categorie giovanili.