A Sarajevo il capolinea azzurro di Sacchi
Giu 19, 2024

Quella di Arrigo Sacchi come commissario tecnico dell’Italia è stata un’epoca di amore e odio per la Nazionale. Dopo aver vinto tutto il possibile con il Milan, il “Profeta di Fusignano” ha guidato gli Azzurri per cinque anni, dal 1991 al 1996.

Ma anche se l’ex allenatore rossonero ha portato l’Italia al secondo posto ai Mondiali del 1994, le sue scelte tattiche contorte, il gioco noioso e un atteggiamento che molti percepivano come odioso, gli hanno fatto guadagnare pochissimi sostenitori tra l’esigente tifoseria italiana.

I due capitani prima del fischio d’inizio

Il 6 novembre 1996 Sacchi dirige per l’ultima volta gli Azzurri. Non sapeva che una partita amichevole giocata in una Sarajevo devastata dalla battaglia, contro la Bosnia Erzegovina, sarebbe stata la sua ultima prestazione come comandante in capo dell’Italia.

Quel giorno, un’Italia rattoppata venne sconfitta 1-2 dai bosniaci, che poterono così festeggiare la loro prima, storica vittoria in una partita ufficialmente sancita dalla FIFA.

La Bosnia ha preso subito il comando con Hasan Salihamidžić, che poi è stato anche direttore sportivo del Bayern Monaco. Enrico Chiesa, il padre dell’attuale attaccante della Juventus Federico, ha livellato le cose per gli Azzurri. Ma al 43’ Elvir Bolić segna il secondo, storico gol della Bosnia.

La Bosnia schierata

Non è stata una prestazione così negativa, tuttavia, a causare la scomparsa di Sacchi. Il tecnico degli Azzurri lasciò la Nazionale di sua volontà solo poche settimane dopo, rispondendo all’improvvisa chiamata del presidente Silvio Berlusconi di tornare al Milan per salvare la loro disastrosa stagione.

Per lui e per i rossoneri le cose non sarebbero andate proprio come speravano, ma questa è un’altra storia.

Per ricordare quella partita di Sarajevo siamo andati a riprendere alcuni stralci dell’articolo che scrisse il compianto Gianni Mura su Repubblica.

Bolić (a sinistra) e Salihamidžić, i due marcatori bosniaci

“Anche pareggiando 2-2 sarebbero stati felici, e anche perdendo di poco. Hanno vinto 2-1, tanto meglio. Non è stata una buona azione voluta, quella di perdere. So che renderà molto allegri gli antisacchiani, ma si tolgano dalla testa che il risultato possa in qualche modo influenzare decisioni federali… Non so quale impatto abbia avuto in Italia questa partita giocata all’ora del panino o della pennichella. Qui l’hanno presa sul serio. Quarantamila persone a riempire lo stadio Koševo, che ha il campo rifatto da poco, di un bel verde chiaro. Ma non potrà mai essere uno stadio come gli altri.

Lo storico striscione di ringraziamento per l’Italia

Dalle tribune si vede il cimitero detto del Leone, quasi tutte tombe del ’92, e dall’ altra parte, dove non si può parcheggiare perchè ci sono i gipponi della Ifor in mezzo ai fili spinati, si vede un altro cimitero, più grande. Non so se col tempo ci si possa fare l’abitudine…  non è un posto come un altro, non è una città come un’altra. E per questo dobbiamo stare attenti anche noi, e non scrivere di un attaccante che centra il bersaglio e di un portiere che para una cannonata.

I giocatori azzurri e i militari italiani del contingente di pace

Prima dell’avvio ci becchiamo la macarena, poi un gruppo folk esegue alcune canzoni che sono anche nella colonna sonora di Underground. Ma qui Kusturica non è molto amato. ‘Molto meglio per lui se qui non torna più’ è il commento più leggero. Non hanno digerito il suo segno di esultanza dopo aver vinto a Cannes, le tre dite tese, il gesto di vittoria dei serbi… Era difficile giocare al massimo a Sarajevo, dopo che hai visto quello che hai visto, e dovunque ti giri è impossibile non vedere. E se vedi cominci a pensare. E se pensi hai meno voglia di stendere un avversario con il cosiddetto fallo tattico, uno che magari ha seppellito un parente in quella foresta di croci, a volte nemmeno, solo un pezzo di legno, che incombono sul campo dove giochi. E dove loro giocano una partita più importante della tua. E tu, che vivi in un altro calcio, in un altro mondo a un’ ora di volo, finché stai qui quello col cognome impronunciabile lo senti molto vicino, non come calciatore, ma come uomo, e chi se ne frega di stare corti e di raddoppiare la marcatura. Non era questo che si chiedeva. Si capisce, perdere non piace a nessuno, ma intanto ti chiedi come faranno col freddo vero e tutti quei fogli di plastica alla finestra, e già in quattro anni si sono tagliati e bruciati tutti gli alberi della città. Così, con un po’ di testa e di gambe altrove, l’Italia ha perso con la Bosnia. Io la penso come Zola: tutto bene. Né Bosnia né Italia prendano per oro colato il risultato di una partita che voleva essere, più che altro, una parentesi di festa e una spinta verso il futuro. Questo risultato c’ è stato e mi basta”.

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