CR7 sembra la sigla che identifica un prototipo di robot meccatronico. Si tratta invece dell’acronimo mediatico per denominare il fuoriclasse portoghese Cristiano Ronaldo che indossa di rito la maglia numero 7. Il 10 luglio 2016 con la finale Francia-Portogallo, si sono conclusi i campionati europei di calcio. Di là dal risultato definitivo che ha visto trionfare la nazionale lusitana sui galletti francesi, molte sono le squadre salite alla ribalta (Croazia, Irlanda, Galles) che si sono distinte e tra cui ci mettiamo pure la nostra nazionale azzurra sconfitta solo ai rigori dalla Germania. La lontana Islanda vichinga, ben supportata dai cori geyser, è stata la formazione che, in base al rapporto tra densità di popolazione per chilometro quadrato, campioni sfoggiati e risultato ottenuto, ha catalizzato la simpatia trasversale di tutto il pubblico.
Ma tornando ai rosso-verdi del Portogallo che hanno battuto i giocatori transalpini già convinti d’aggiudicarsi la coppa avendo il favore dello stadio amico, debbo confessare che la mia attenzione si è focalizzata sulla figura del capitano portoghese Cristiano Ronaldo; “Pallone d’oro” che con la nazionale nulla d’importante aveva ancora vinto.
A dire il vero, il fuoriclasse, indiscutibile dal punto di vista tecnico-tattico, non ha mai suscitato in me gran simpatia per quel suo modo di fare plateale, da primo della classe e per quel suo ostentare a ogni goal il corpo scolpito nel marmo come fosse un guerriero acheo dell’antica Grecia.
Una sensazione, questa mia, sicuramente sbagliata, forse indotta dal fatto che quando studiavo a scuola l’epica dei miti classici, i semidei e le vestali non mi garbavano molto; a me piacevano le figure dei personaggi reali. Ma andiamo subito alla sintetica cronaca della partita. Fin dai primi minuti la Francia aggredisce il Portogallo che non riesce a reagire pur puntando su Cristiano Ronaldo e le sue ripartenze.
La sorte dei lusitani sembra segnata. E, la malasorte pare confermare l’indirizzo preso dal match all’ottavo minuto dal fischio d’inizio, col fallo di Payet sul capitano portoghese. Il campione è stato colpito sull’arto in un punto critico. No! Non si tratta del tallone d’Achille, ma del legamento collaterale mediale interno del ginocchio sinistro. Fiato sospeso. Mani sul viso. Sguardi smarriti tra i tifosi portoghesi. Intervengono i sanitari che stabilizzano l’articolazione con un bendaggio appropriato e gli somministrano l’antidolorifico.
L’asso si rimette in piedi stringendo i denti. E’ claudicante. Ha le lacrime agli occhi. Ma grinta, determinazione e voglia d’essere il guerriero protagonista, purtroppo non basta. Passano ancora alcuni minuti e il campione si ferma, immobile, e si risiede sull’erba soprafatto dallo sconforto. Prima d’essere deposto sulla barella ed essere sostituito, con gli occhi lucidi, passa la fascia di capitano al suo vice, in maniera solenne, quasi fosse un’investitura, raccomandando alla squadra di non mollare. Dalla panchina dov’è portato per proseguire le cure sanitarie egli incita i propri compagni che oramai sono consapevoli d’essere orfani del mito. Forse è per questo che in tutti scatta un moto d’orgoglio.
I giocatori portoghesi prendono in mano la situazione, comprendono che l’opportunità è unica, che la vittoria dipende solo da loro e così si compattano, fanno squadra e vanno a vincere nei tempi supplementari con un pizzico di fortuna.
Ed è tripudio! Cristiano Ronaldo esulta più d’ogni altro abbracciando uno per uno i suoi compagni, Prende la coppa tra le braccia e la bacia come fosse una sposa. La gioia è infinita, nonostante il dolore per l’infortunio sia intenso, mitigato solo dall’entusiasmante scenografia dello stadio che rende onore al merito dei vincitori. Una domanda pongo ora a me stesso: quando la figura dell’epico portoghese è mutata ai miei occhi? Ebbene, ciò è avvenuto quando l’ho visto accasciato, sdraiato sull’erba per la seconda volta mentre alzava le braccia al cielo, ferito, sconfitto, mentre chiedeva aiuto. Le lacrime erano vere e non solo per quel dolore lancinante (che anch’io conosco), ma soprattutto perché egli aveva capito che il sogno d’essere ancora l’eroe protagonista immortale dello scontro si era infranto.
Mentre con lo sguardo smarrito osservava il ginocchio “trafitto” attendendo i soccorsi, un a falena compariva dal nulla posandosi sul volto contratto. Mi è parso strano che Cristiano Ronaldo non scacciasse infastidito quel piccolo lepidottero. Poi ho capito la metafora: quella farfalla notturna apparsa all’improvviso sul sopraciglio era sicuramente la rappresentazione materiale della fede e determinazione che c’è nell’anima del ragazzo che sta ancora dentro di lui. La falena lo confortava e lo incoraggiava, rammentandogli, al di là della sensazione d’essere divo, che il vincitore non è né un superuomo, né un semidio, ma quel sognatore che non si arrende mai.
Giuseppe (Joe) Bonato