Quel pomeriggio si giocò Italia-Olanda, partita valida per le semifinali dell’Europeo del 2000. Zoff in panchina, Toldo in porta, Totti a dare spettacolo in campo. Un normalissimo pomeriggio d’estate. Giocava l’Italia, alle 18. L’Italia di Zoff che aveva raggiunto le semifinali all’Europeo giocato in Belgio e Olanda, e che si apprestava ad affrontare proprio gli orange padroni di casa.
Ma quell’Italia-Olanda non era una partita come le altre, ipnotizzati dalla voce di Bruno Pizzul. Giocavano bene, quegli olandesi, erano dappertutto. Ricordiamo il palo di Bergkamp, poi l’espulsione di Zambrotta. “Sono troppo forti, non ce la faremo mai, figuriamoci in dieci”: ancora non sapevamo quali incredibili emozioni e quali straordinarie sorprese ti può regalare il calcio. L’arbitro diede anche un rigore all’Olanda, con tutte le nostre forze sperammo che De Boer lo sbagliasse. E lui lo sbagliò. Anzi, fu Toldo a respingere il pallone facendoci saltare sul divano. Ma nel secondo tempo la storia non cambiò: la palla ce l’avevano sempre quelli là con la maglia arancio, e noi, con la maglia azzurra, non riuscivamo proprio a tenere il passo di quelle furie. Altro rigore per quelli là, altro errore: Kluivert colpisce il palo. Altro pericolo scampato, altro salto di gioia sul divano.
“Vanno ai rigori!”. “Ma com’è possibile? Siamo riusciti a pareggiare? Ma erano troppo forti, troppo grossi, troppo veloci, troppo tutto, quelli là! Come diavolo abbiamo fatto?”: eppure sì, era tutto vero. Il nostro fortino, non si sa in quale modo, aveva resistito, ed avevamo portato la sfida ai rigori. Tutto, ma proprio tutto, si fermò. Nemmeno l’ombra di un’automobile per le strade. La maggior parte delle persone si riversarono dentro i bar, da dove un piccolo televisore diffondeva ancora la voce di Pizzul. Non c’era posto per tutti, nei bar. In quel momento, in quel preciso istante, realizzammo la grandezza di questo gioco. Tutti insieme, lì a spingere Toldo verso un’altra parata, ad esaltarsi per il rigore di Totti, con quella palla che non entra mai, a gettarsi le mani nei capelli all’errore di capitan Maldini, ad esultare, ad urlare, ad abbracciarsi dopo l’ennesima parata del nostro portierone su Bosvelt, quella che ci regala la finale.
Tutti uniti, emozionati, felici. “Che cosa pazzesca che è questo calcio”. Quel giorno il calcio era semplicemente un gioco che riusciva ad unire tutti, ma proprio tutti. Un gioco che faceva dimenticare i problemi per 90 minuti più recupero (più supplementari e rigori, a volte), un gioco che faceva tornare tutti bambini. Ed era un’emozione bellissima. Quell’Italia-Olanda ci insegnò poi che non sempre vince il più forte, il più grande, il più bello: se quei ragazzi con le maglie azzurre erano riusciti ad eliminare quei marcantoni vestiti d’arancio, bè, allora significava che vale sempre la pena di lottare, anche quando tutto sembra remarti contro.
La finale con la Francia ci mise di fronte all’altro lato della medaglia: il golden gol di Trezeguet ci insegnò che il calcio, come la vita, è fatto anche di grandi, grandissime delusioni.