Si cambia, tanto per cominciare. Naturalmente partendo dal regolamento, che l’Uefa rivoluziona in occasione della rassegna continentale del 1980. Non saranno più quattro, le squadre ammesse alla fase finale.
Diventeranno otto, e quella del paese organizzatore all’appuntamento arriverà in carrozza, senza invischiarsi in pericolosi gironi eliminatori e restando alla finestra a studiare l’evolversi della situazione. Dal momento che gli ultimi fuochi verranno accesi sui campi d’Italia, tocca proprio alla Nazionale di Enzo Bearzot saltare il primo turno. Per gli azzurri, dunque, soltanto amichevoli tra il Mondiale d’Argentina e l’Europeo d’Italia. Saranno dodici in tutto, dal 20 settembre 1978, prima uscita dopo la finale per il terzo posto mondiale perduta (2-1) a Buenos Aires contro il Brasile, fino al 19 aprile 1980, poco meno di due mesi prima dell’inizio dell’avventura europea.
Nel frattempo, trentuno squadre si giocano i sette posti liberi per la fase finale. Divise, appunto, in sette gironi. Conto dispari, e qualche complicazione in fase di assemblaggio, risolta con la costituzione di tre gironi da cinque squadre e quattro da quattro. Più complicato del solito, ma alla fine i conti tornano.
Tornano anche per chi aveva azzardato pronostici, i conti. Perché dai sette gironi non escono sorprese enormi. Non si perde lungo il cammino l’Inghilterra, che domina il gruppo 1 trascinata dal talento di Kevin Keegan, non sbaglia strada la Germania Ovest di Jupp Derwall nel gruppo 7. Arriva alla fase finale anche la Cecoslovacchia, campione d’Europa uscente, che del vecchio gruppo che fece quasi gridare al miracolo quattro anni prima porta ancora in campo capitan Ondrus, Panenka e Nehoda.Gli uomini di Venglos, a dirla tutta, trovano nella Francia un rivale articolarmente scomodo, ma alla fine conquistano il prezioso biglietto per l’Italia.
Nel gruppo 3 il testa a testa tra Spagna e Jugoslavia si risolve a favore degli uomini di Kubala. Le due squadre si scambiano… favori lungo il percorso: Santillana e compagni partono subito a mille, andando a vincere a Zagabria, gli slavi rispondono vincendo a Valencia con un gol di Surjak. L’ago della bilancia, alla fine, diventa la Romania, terza classificata nel girone. Contro i rumeni, in trasferta, la Spagna pareggia (2-2) e la Jugoslavia perde (3-2). E quel punto, nella classifica, farà la differenza. Soffre più del dovuto, nel gruppo 4, l’Olanda. Dopo il terzo posto agli Europei ’76 e il secondo ai Mondiali ’78, i tulipani di Zwartkruis si invischiano in un pericoloso testa a testa con la Polonia, risolvendolo all’ultima vittoria, contro la Germania Est. A conti fatti, le uniche sorprese della prima fase arrivano dal gruppo 2 e dal gruppo 6. Nel primo il Belgio del tecnico Guy Thys, già più o meno profeta in patria ma ancora tutto da verificare sulle ribalte internazionali, esce allo scoperto lasciandosi alle spalle Austria e Portogallo, sulla carta accreditate di una maggior regolarità a questi livelli. Ma la rivelazione vera è la Grecia, sorprendente Cenerentola del gruppo 6 che diventa principessa ai danni delle favorite della vigilia, Ungheria e Urss.
Veloce rassegna sulle magnifiche otto che si daranno battaglia negli stadi di Roma, Napoli, Torino e Milano. Partendo dai campioni in carica, naturalmente. Il Ct Josef Venglos ha raccolto il testimone dal maestro Jezek, timoniere del trionfo europeo di quattro anni prima subito dopo la mancata qualificazione ai Mondiali d’Argentina. Ha rifondato il gruppo intorno a pochi superstiti di quei gloriosi giorni jugoslavi. Tra i quali non c’è più il portiere Victor, che di quell’europeo fu l’eroe indiscusso.
Anche Jupp Derwall, subentrato al monumento Schoen, ha cambiato faccia alla Germania Ovest: un gruppo che per la prima volta si presenta a una manifestazione internazionale spingendo sul tasto della “linea verde”. La sua è la squadra con l’età media più bassa del torneo, con la Grecia in fondo anche la meno esperta. Ma da quando Derwall è al timone, autunno ’78, non ha mai perso un colpo. Imbattuta da quindici partite, un bel biglietto da visita. L’Inghilterra di Greenwood suda freddo poco prima della fase finale, quando dopo la perdita di Trevor Francis rischia di dover fare a meno anche di Kevin Keegan. Sospetta lesione del menisco, annunciata dopo l’ultima partita del Re ad Amburgo. Il caso però si sgonfia, il problema è minimo, uno stiramento che permetterà a mister Keegan di continuare a trascinare il gruppo.
L’Olanda di Zwartkruis è a sua volta cambiata: basta con i “clan”, ritrovato lo spirito di squadra e una guida sicura in Rudi Krol, attorniato da poche (ma buone) stelle come Haan, i De Kerkhof, Kist e l’onnipresente Stevens.
Guy This ha un bel problema da risolvere: il suo Belgio deve fare a meno di Ludo Coeck, inchiodato da un profondo strappo muscolare, e dovrà appoggiarsi sui veterani Cool e Van Moer, apripista di un gruppo giovane e praticamente sconosciuto. La Spagna esce da un ’79 da dimenticare, arriva all’appuntamento tra venti di bufera: le critiche non risparmiano la squadra messa in piedi da Kubala, la cui posizione di Ct non è mai stata tanto traballante. La Grecia, infine, gioca il suo ruolo di outsider. Nessuno l’attendeva all’appuntamento conclusivo in Italia. C’è arrivata trascinata dal bomber Tomas Mavros, certamente l’elemento di maggiori qualità del gruppo.
Regole della fase finale: due raggruppamenti, con le prime in classifica che accedono direttamente alla finalissima e le seconde che si giocano il terzo posto. Da una parte Cecoslovacchia, Germania Ovest, Olanda e Grecia, dall’altra Belgio, Italia, Inghilterra e Spagna.
Nel gruppo A prende il volo la Germania Ovest, già dall’esordio che ripropone la finale di quattro anni prima, Germania contro Cecoslovacchia, e che per i tedeschi rappresenta una vera e propria rivincita. Già nella seconda partita, vinta di misura (3-2) contro l’Olanda, sale in cattedra il ventunenne Bernd Schuster, che contro la Cecoslovacchia non era nemmeno entrato in campo. Al terzo turno, agli uomini di Derwall basta un pari con la Grecia per chiudere il girone imbattuti (e sono diciotto, da quando il nuovo Ct è al timone!) e al primo posto.
La Cecoslovacchia, finita a pari punti con l’Olanda, giocherà la finale di consolazione grazie alla miglior differenza reti. Nel gruppo B l’Italia parte con un pari a reti inviolate contro la Spagna, e il Belgio fa lo stesso con l’Inghilterra. La sfida azzurra agli inglesi trova un protagonista assoluto. Marco Tardelli aveva già imbrigliato Sua Maestà Keegan a Wembley, il 16 novembre del ’77. Peccato che per i primi undici minuti l’attaccante inglese fosse riuscito a sfuggire al controllo di Zaccarelli, segnando il gol dell’1-0 (gli inglesi, poi, avrebbero raddoppiato con Brooking. Ma contro il ruvido “Schizzo”, per i restanti ottanta minuti, il talento del re si era perso nel buio. Così in questa nuova sfida, sull’erba del Comunale di Torino. E nonostante una noiosa pubalgia avesse messo in dubbio fino all’ultimo anche la presenza di Tardelli in campo. Ma questa volta fa di più, l’azzurro. Risponde all’unico guizzo di Keegan inventandosi il gol della vittoria. E portando gli inglesi sull’orlo di una crisi di nervi, mentre il Belgio di Thys, battendo la Spagna e chiudendo in parità (0-0) con gli azzurri, in silenzio si ritrova in testa alla classifica.
A pari punti con l’Italia, ma con la stessa differenza reti (+1) contano i gol realizzati, e l’Italia ha messo in carniere solo quello di Tardelli, mentre i belgi ne hanno collezionati tre. Nela sfida tra le due squadre, decisiva, agli uomini di Thys basta un pareggio per chiudere al comando del girone. Il tema tattico dell’incontro è scontato: azzurri alla ricerca del gol e Belgio chiuso (per usare un eufemismo) in difesa e pronto a colpire in contropiede.
La difesa belga regge all’urto grazie anche a un arbitraggio non proprio casalingo. La trappola del fuorigioco impedisce ai nostri di ragionare e giocare il pallone in verticale sulle punte. In più, si fanno male due uomini importanti come Oriali e Antognoni, e il gruppo risente della loro uscita anticipata. È pareggio, appunto. Come volevano i belgi. Per gli azzurri è una beffa. Hanno attraversato imbattuti la fase finale di questo Europeo fatto in casa, hanno la miglior difesa del torneo (zero gol subiti), ma dovranno accontentarsi di giocare la finale per il terzo posto. Come in Argentina, ma se allora fu un mezzo successo stavolta affiora la delusione.
Quel sapore amaro agli angoli della bocca non svanisce dopo la finale di consolazione. Ancora una volta, l’Italia ne esce imbattuta e battuta allo stesso tempo. Contro la Cecoslovacchia è 1-1, reti di Jurkemik e Graziani, e ai rigori si va avanti ad oltranza. Bisognerà batterne nove per parte, per decidere chi dovrà salire sul podio. Decidono Netolicka, che para il nono penalty degli azzurri calciato da Collovati, e Barmos che invece non sbaglia il tiro decisivo. Evidentemente c’è di mezzo il destino, che decide che la Cecoslovacchia debba vincere sempre ai rigori le sue finali europee: quattro anni prima andò così con la Germania Ovest, anche se in quel caso c’era in palio il primo posto. In finale il Belgio vorrebbe trovare il lieto fine per la sua favola. Quella che lo ha portato fino all’ultimo atto grazie alla perfetta alchimia tra un gruppo giovane e un “capo storico” che incute rispetto e (quasi) devozione. Wilfried Van Moer, regista puro, recuperato in extremis da Thys dopo un’assenza dalla Nazionale durata quattro anni, dal ’75 al ’79, è l’ispiratore di Ceulemans e Van den Bergh, punte che feriscono le difese avversarie. Ha trentacinque anni e tre mesi, qualche problema di tenuta atletica ma una classe sopraffina che lo sostiene.
Anche in finale contro i tedeschi gioca da protagonista, ma questa volta non basta. Dall’altra parte sale in cattedra un altro nonno insuperabile: il vecchio Horst Hrubesch, che ha legato molto bene coi giovani talenti di Derwall, infila il gol del vantaggio iniziale, dopo dieci minuti di gioco, e si ripete a un minuto dalla fine, dopo che il Belgio aveva raddrizzato il risultato su rigore con Vandereycken, rendendosi poi molto pericoloso. La finale è un bel ricordo per Hrubesch, ma in assoluto questo Europeo glorifica il giovane Schuster, protagonista anche in finale. Partono da lui, oltre all’assist per il primo gol di Hrubesch, le azioni più illuminate della Germania Ovest. E il bello è che il ragazzo è una stella part-time. Delle quattro partite della fase finale, ne ha giocate due: assente al debutto contro la Cecoslovacchia, risparmiato da Derwall nella partita contro la Grecia. Centottanta minuti gli sono bastati per mettere la sua firma su questo Europeo.