Perché lo chiamassero palo ‘e fierro, potrebbe spiegarcelo Preben Elkjaer. Se contro la Juve segnava pure senza scarpe, quando c’era da giocare contro il Napoli, lui non scendeva proprio in campo. Perché se vai a sbattere contro un solido e intrepido palo di ferro pieno, ti fai male.
Beppe Bruscolotti è stato il capitano del Napoli fino all’avvento di Diego Armando Maradona. La sua è storia di calcio d’altri tempi, di quelle che cominciano nella provincia polverosa. Inizia a Sassano, borgo del Vallo di Diano. Poi lo nota la Pollese che lo compra in cambio (tra le altre cose) di una cena per quattro a cui lui non fu invitato. Quindi sbarca a Sorrento, in C e quindi in B. Infine, abbraccia gli 80mila del San Paolo.
Con la maglia azzurra, Bruscolotti giocherà per sedici lunghi campionati. Scende in campo 511 volte, record di presenze quando in A c’erano solo sedici squadre e l’appetito dei diritti tv non l’aveva bulicamente allargata a più di venti.Combatte sempre, lo amano perché la maglia, lui, la suda. E quando può segna, magari tirando una cagliosa.
Senza cattiverie gratuite, vero. Ma senza nemmeno farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
Chi è leale non può che pretendere dagli altri, amici, avversari, presidenti di ieri e di oggi, la stessa identica propensione alla vita che coltiva per sé. E spesso può restare deluso.
Dal 1972 fino al 1988 quando, dopo che già aveva ceduto la fascia di capitano a Maradona, cedette il testimone in campo a un tale Ciro Ferrara, allora giovane napoletano di belle speranze della covata azzurra. Perciò quando questo se ne andò da Napoli pigliando la via della Juve, fece pigliare tanta collera a un’intera comunità. Ma questa è un’altra storia.
Quella di Bruscolotti, invece, è un’epopea lunga di campo, di duelli. Di salite e di discese, di promesse mancate, di campioni tristi e di cantieri che avrebbero costruito leggende che, dalle parti di Partenope, contano più di mille e mille rievocazioni laiche.
Ha visto gli anni duri e frustranti di scudetti sfumati e retrocessioni sfiorate fino alla conquista del primo, storico, scudetto del Ciuccio.
Quel Napoli che aveva sempre il solito problema: gli mancava un soldo per apparare una lira, per trovare una sola grande soddisfazione. Poi, Ferlaino quel soldo lo trovò a Barcellona.
In nazionale non l’hanno mai chiamato. Storia comune a tanti altri campioni forse fraintesi dai cittì di tutti i tempi. A Napoli però credono poco agli equivoci. Se ne sono fatti una ragione, la stessa che li porta a tifare Argentina a ogni Mondiale.
Giovanni Vasso