Nessuna dinastia è come i Maldini nel calcio mondiale. Solo una coppia padre-figlio è riuscita a sollevare la Coppa Campioni-Champions League da capitano della stessa squadra, il Milan. Paolo, l’abbiamo visto in epoca recente farlo due volte, nel 2003 e nel 2007; Cesare nel 1963, quando dopo una battaglia contro il Benfica alzò il trofeo nel cielo di Wembley, la prima delle sette Coppe dei Campioni nella storia rossonera.
È dal 1954 che i Maldini fanno parte del Milan. Cesare- come scrive il “GuerinSportivo” – è un ragazzo di Trieste (“el mulo de Servola” nel dialetto locale, dal nome del quartiere dove viveva) che arriva nel capoluogo lombardo per una cifra ritenuta astronomica all’epoca, visto che è un difensore: 58 milioni di lire. In realtà sono soldi ben spesi, perché fin da subito il giovanotto si dimostra un leader, comandando la difesa nel ruolo di libero. E pazienza per quell’eccesso di confidenza, ogni tanto, quelle uscite palla al piede a testa alta che a volte costano un gol: sono le “maldinate”, proverbiali e un po’ bonarie.
La personalità non si discute, fin dalla prima delle 412 partite che gioca in 12 anni con il Milan proprio contro la sua ex squadra, la Triestina. Il suo allenatore è Béla Guttmann, che lo battezza subito: “Dimostrerà di essere da Milan”. Sarà con Nereo Rocco, però, suo concittadino triestino, già suo allenatore con gli alabardati, che Maldini non solo otterrà i maggiori successi, ma riceverà la fascia di capitano, oltre a vincere 4 scudetti. Non è raro sentire i due dialogare in dialetto, peraltro, specie se “El Paròn” si vuole sfogare con qualcuno.
Eredita i galloni da Nils Liedholm, un’altra leggenda rossonera, quando lo svedese si ritira nel 1961. Due anni dopo è lì, a Wembley, contro il Benfica, in maglia bianca, una sorta di portafortuna delle finali europee del Milan: c’è da controllare la “pantera” Eusebio, che comunque segna, ma Altafini con una doppietta ribalta il risultato ed è 2-1. Maldini alza la Coppa Campioni, primo giocatore italiano a riuscirci.
“Cesarone”, però, al Milan ha vissuto anche diversi anni in rossonero da allenatore, sempre al servizio della squadra nel momento del bisogno. L’inizio, nel 1967, appena ritiratosi da calciatore con la maglia del Torino, come collaboratore di Nereo Rocco, quasi un secondo padre per lui. Viene promosso a vice del Paròn e sta per completare una stagione perfetta, nel 1973: Coppa Italia e Coppa delle Coppe sono già incamerate, manca solo lo scudetto con una vittoria al Bentegodi contro il Verona, una squadra che non ha nulla da chiedere al campionato. Invece è il pomeriggio “fatale” per il Milan, che perde 5-3 e vede la Juventus sfilargli davanti. È una brutta botta per Maldini, che riparte dalle categorie inferiori (Foggia, Ternana e Parma) e soprattutto dalla Nazionale: è lui, infatti, il vice di Enzo Bearzot al Mondiale vinto nel 1982, commissario tecnico dell’Under 21 per tre volte campione d’Europa tra il 1992 e il 1996 e Ct Azzurro dal 1996 al 1998.
Tornerà in rossonero nel marzo 2001, come traghettatore al posto di Alberto Zaccheroni, affiancando Mauro Tassotti: in quel finale di stagione tribolato troverà il modo di vincere 6-0 il derby contro l’Inter, il trionfo rossonero più netto di sempre in una stracittadina. Un derby con suo figlio Paolo in campo, da capitano. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.
Non c’è dubbio che le due squadre (forse tre, aggiungiamoci la Triestina) più importanti nella vita di Cesare Maldini siano state il Milan e la Nazionale. È anche vero, però, che pochi hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco in un’esperienza sulla carta assurda come Cesarone al Mondiale del 2002, quando ci arriva da commissario tecnico del Paraguay. La firma arriva nel Natale dell’anno precedente. Maldini viene affiancato da Beppe Dossena e a 70 anni prende parte al suo quinto Mondiale dopo quello da giocatore nel 1962 e i due da vice-Bearzot nel 1982 e nel 1986, quello da Ct azzurro nel 1998.
“So già tutto, conosco benissimo i giocatori della squadra”, risponde a chi gli chiede se abbia in mente una formazione-tipo in vista della manifestazione in Corea del Sud e Giappone. Si dice che il nulla osta sia arrivato anche con l’intercessione del portiere José Luis Chilavert, che del Paraguay è capitano, leader e mito vivente. Poi bisogna giocarsela, nel girone B con Spagna, Sudafrica e Slovenia. Il primo posto sembra indirizzato verso le Furie Rosse, ma l’obiettivo minimo sono gli ottavi di finale.
Si comincia con un 2-2 contro il Sudafrica, ma la partita con la Spagna è un disastro, 3-1 con doppietta di Morientes. Decisiva l’ultima gara contro la Slovenia, da vincere sperando di segnare anche un buon numero di gol. Il Sudafrica, a cui basta un pareggio con gli iberici, perde 3-2, mentre il Paraguay vince 3-1 in rimonta e in inferiorità numerica. È fatta, ottavi di finale raggiunti. Adesso tocca alla Germania: “La metteremo sulla lotta”, proclama Cesarone. Ed effettivamente per 88 minuti i tedeschi vengono imbrigliati dalla difesa paraguaiana comandata da Chilavert in porta e dal roccioso stopper Gamarra. Quando i supplementari sembrano a un passo, Schneider crossa dalla destra al centro dove Neuville di controbalzo segna l’1-0. Fine del sogno per Maldini, comunque salutato come un eroe ad Asunciòn e dintorni per quella che è stata la sua ultima partita da allenatore in carriera.