Baffo, chioma folta, il soprannome di Breitner della Bassa, eskimo e Unità in tasca da buon comunista. Parliamo di Renato Sali, ex rossoblù del Bologna di fine anni ’70 e inizio ’80.
Quelli bravi li ha marcati tutti. “Da Mazzola a Rivera, passando per Causio, Claudio Sala, Damiani, Conti. Diciamo che prendevo in consegna tutti quelli che arrivavano sulla mia fascia”. La fascia di Renato Sali, nato a Ticengo in provincia di Cremona, era la sinistra. A sinistra ha battuto sempre anche il suo cuore. Ha scritto il Resto del Carlino: “In quegli anni nessuno a Casteldebole sgranava gli occhi se Sali arrivava al campo con l’eskimo e l’Unità in tasca, due simboli di un’Italia in cui schierarsi politicamente era la regola e non l’eccezione”.
Siamo alla fine degli anni Settanta e precisamente nel 1978. Sali ha 29 anni, la serie A l’ha conquistata, difesa con le unghie e con i denti e infine persa nelle quattro stagioni al Foggia. Ruolo? Fin lì cursore di fascia. Poi un bel giorno, stagione 1979-80, a Marino Perani si accende la lampadina. “Si era infortunato Mastropasqua – ha racconta Sali al Resto del Carlino – e il mister mi chiede: te la senti di fare il libero? Detto e fatto. Io libero e Bachlechner stopper, tra noi è nato subito un bel feeling, che ha dato i suoi frutti anche l’anno successivo con Radice”. Quello non è un anno qualunque, bensì la stagione di grazia 1980-‘81, settimo posto finale nonostante il fardello dei cinque punti di penalizzazione. “Senza quei cinque punti saremmo andati in Europa…”, dice oggi Sali, che in quella storiaccia del calcioscommesse che ha macchiato la storia rossoblù non volle entrare mai. “Nello spogliatoio mi proposero di addomesticare alcune partite, ma mi chiamai subito fuori: i soldi che mi sarebbero entrati in tasca non sarebbero stati soldi puliti. Avrei tradito l’insegnamento di mio padre e la mia coscienza”.
Nella sua carriera c sono stati anche la Reggina, il Foggia e il Brescia: “Ho sempre lavorato sodo in allenamento per arrivare pronto la domenica e i bolognesi credo si ricordino di me per i tanti chilometri che facevo in campo. I baffi? Li ho sempre avuti fin dalla Reggina, piacevano a mia madre che mi diceva sempre ‘Mi piaci coi mostaci’”.
Appesi gli scarpini al chiodo Sali per quasi trent’anni ha lavorato, prima come commesso e poi come magazziniere, nell’azienda di Aldo Vanoli, l’imprenditore che da Soncino, nella Bassa Cremonese, ha costruito un impero e oggi è il patron del Basket Cremona. La vocazione politica, innanzitutto. “Mio padre – aggiunge – era del 1897. Ha sempre lavorato la terra sotto padrone e quando c’era da scioperare non si è mai tirato indietro. In casa la politica l’ho masticata fin da bambino, poi me la sono portata dietro negli anni da calciatore anche se certi discorsi restavano fuori dallo spogliatoio. Con Radice no, qualche volta si parlava di politica: lui era socialista”.
Sta di fatto che certi valori, come la nobiltà del guadagnarsi il pane col sudore della propria fronte senza fare distinzioni tra una carriera da terzino e un posto da magazziniere, una volta inculcati non ti abbandonano più. “Quando ho smesso di giocare ho voluto dare un taglio netto col passato – conclude –. La ferramenta di famiglia di Aldo Vanoli cercava un commesso e nell’85 ho cominciato da lì. Poi l’attività di Vanoli si è allargata e fino al 2003 in azienda ho fatto il magazziniere”. L’eskimo è nell’armadio, l’Unità non può comprarla più. “Anche la passione per la politica oggi non è più quella di allora”. Restano i ricordi di quando “in aeroporto, viaggiando con la squadra, spesso la polizia mi perquisiva. ‘Tranquilli, sono un calciatore’, dicevo io sorridendo. Ma con quei baffi e quella capigliatura evidentemente avevo un’aria sospetta”.