Il Torino e l’aggettivo “grande”
Mag 4, 2024

“I campioni d’Italia. Bàcigàlupo V., Ball…”, legge un bambino, come ipnotizzato dalla lapide che commemora il Grande Torino, scomparso a Superga il 4 maggio del 1949.

Capitan Valentino Mazzola

Il piccolo sta imparando cos’è il Toro. E suo nonno sta cercando di spiegarglielo. “Sta’ tranquillo, il tuo è un errore comune. Anzi, è già tanto che ti sia limitato a sguinzagliare gli accenti: in molti, quel cognome neppure riuscivano a pronunciarlo. Uno su tutti? Vittorio Pozzo, o almeno così sosteneva Bacigalupo, che…”.


L’ultima impresa, questa volta dolorosa, del cittì che portò l’Italia a trionfare nei Mondiali del 1934 e 1938, fu il riconoscimento dei corpi dilaniati dopo lo schianto.

La drammatica scena subito dopo lo schianto


Parlavamo del portierone, no? Che poi portierone non era, perché si era fermato a un metro e settantasei, ma l’agilità gli consentiva di far passare in secondo piano quest’aspetto. Dicevamo, il buon “Baci”, perchè di solito lo chiamavano così per far più presto, si era convinto che la sua più grande delusione calcistica fosse dovuta proprio alla complessità del suo cognome.

L’annuncio di allora su “La Gazzetta dello Sport”

L’11 maggio del 1947 si gioca Italia-Ungheria, ed in campo scendono dieci calciatori del Torino ed uno – il portiere Lucidio Sentimenti – della Juventus: “Baci” sosteneva che Pozzo fosse entrato in campo poco prima del calcio d’inizio per richiamare Sentimenti IV (aveva altri quattro fratelli, tutti divenuti calciatori in A) e schierare lui in porta, ma dopo un paio di tentativi andati a vuoto di pronunciarne il cognome, aveva optato per la conferma di Sentimenti.

Nella leggenda del Grande Torino c’è una perla che brilla di luce inesauribi­le: è la presenza di ben 10 giocatori granata nell’Italia che l’11 maggio 1947 a Torino affrontò e batté l’Un­gheria per 3-2.


E nell’Ungheria, quel giorno, ce n’erano nove dell’Újpest di Budapest. Ma un “estraneo”, Puskás, che gioca nell’Honvéd e diventerà leggenda con l’Aranycsapat ed il Real Madrid.


Puskás pareggia su rigore al 76′, segnando l’ottavo gol nelle sue prime sette partite con l’Ungheria, ma soprattutto incrocia Valentino Mazzola.
Quasi vent’anni più tardi, sconfitto in finale di Coppa dei Campioni da una doppietta di Sandro, figlio di Valentino, gli farà dono della sua maglia, accompagnandola con le parole: “Tienila, perché sei degno di tuo padre”..
Per quelli del Toro Valentino Mazzola è stato il Capitano, con la “C” maiuscola, per loro Valentino Mazzola è stato più grande di Pelé e Maradona, di Cruijff e Di Stefano.

L’ultima partita del Toro a Lisbona, scambio di gagliardetti tra Mazzola e Ferreira


Il Torino acquistò Mazzola dal Venezia. Eravamo nel 1941-’42, in quella stagione i granata arrivarono secondi sia in campionato che in Coppa Italia per colpa proprio del Venezia. In quella squadra giocava, oltre a Valentino, Ezio Loik: mezzala di Fiume, diede un sensibile contributo alla maiuscolizzazione dell’aggettivo “grande” che accompagnerà per sempre il loro Torino. Questi due, giocatori da sogno, erano però destinati alla Juventus. Succede però che, nel maggio 1942, il Toro va al “Penzo” di Venezia e si porta in vantaggio con Petron, poi i padroni di casa ribaltano il risultato, ispirati dal favoloso duo di mezzali: Ferruccio Novo, il presidente del Toro, ricco grazie al cuoio e con un passato da mediocre difensore nelle giovanili granata, fa irruzione negli spogliatoi e stacca un assegno da 1 milione e 200 mila lire. Più Petron e Mezzadri: Mazzola e Loik, strappati ai cuginastri, vestiranno granata.

Il tempio di quelle imprese: il leggendario “Fila”

Ecco anche Grezar, dalla Triestina, ma l’avvio è balbettante, con due sconfitte, a Milano con l’Inter ed in casa col Livorno. Alla terza giornata, però, ecco il derby: il Toro vince 5-2, Loik e Mazzola firmano rispettivamente il quarto ed il quinto gol.

È la svolta. Trionfano in campionato, superando il Livorno di un punto, ed in Coppa Italia, con un perentorio 4-0 sul Venezia orfano dei suoi gioielli. È la prima squadra a fare doppietta, e – possiamo giurarci – ci fosse stata anche la Coppa Campioni non si sarebbe dovuto aspettare il 2010 per vedere un’italiana trionfare su tre fronti nella stessa stagione.

Le vittime di Superga in una cartolina commemorativa


Nel ’45, finita la Seconda guerra mondiale, il calcio si propone come antidoto per la depressione. Un popolo intero, messo in ginocchio, cerca di rialzarsi aggrappandosi alle imprese del Torino, che trionfa nell’arzigogolata Divisione nazionale grazie anche a tre nuovi innesti: Bacigalupo, il terzino Ballarin e Castigliano, che pur essendo un mediano segna 13 gol in 14 partite nel girone finale che assegna lo scudetto.


Campionato 1946-’47, anche questa volta, il Toro parte maluccio, con cinque punti in cinque partite. Poi, sul finire d’ottobre, si sveglia a Roma: vince 3-1 contro i giallorossi, e poi infila nove successi ed un pareggio nelle successive dieci partite. Dieci, come i punti di distacco rifilati alla Juve.
65 punti, 125 gol fatti, 39 punti su 40 al

I ragazzi del Torino che disputarono le ultime quattro partite di campionato

Filadelfia, frutto di 19 vittorie in 20 partite, tra cui un memorabile 10-0 rifilato all’Alessandria. Questa è la storia del quarto scudetto, vinto con cinque giornate d’anticipo: dobbiamo aggiungere altro?
Il campionato successivo, quello del 1948-’49, è l’ultimo del Grande Torino. Che si congeda dalla serie A pareggiando 0-0 sul campo dell’Inter. Quell’Inter, diretta concorrente per il titolo, era staccata di quattro punti: se fossero usciti imbattuti da San Siro, il presidente Novo avrebbe concesso ai suoi giocatori una trasferta a Lisbona, per giocare contro il Benfica di Xico Ferreira, amico di Mazzola. Non torneranno mai più.

Mario Bocchio

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