Fernando Viola che il 14 marzo scorso avrebbe compiuto 72 anni, il 5 febbraio di 22 anni fa, sulla soglia delle 50 primavere, morì in un tragico incidente stradale. Fernando Viola da Torrazza Piemonte (Torino) perse la vita su viale Parioli, il quartiere capitolino dove aveva scelto di vivere con la moglie e i figli che, all’epoca, avevano 14 e 15 anni. Viola, centrocampista poliedrico cresciuto nel vivaio della Juve, era a bordo del proprio scooter che si schiantò contro un’auto e scomparve tra il poco rumore dei media in quel drammatico giorno.
Di lui restano i ricordi delle prodezze in campo, ma anche il suo essere un giocatore atipico, un gentiluomo: dalla Juve di Cesto Vyckpalek, lo zio di Zeman, fino alla Lazio. Proprio l’allenatore ceco lo fece esordire in bianconero, il 12 marzo 1972, in Juventus-Bologna, vinta 2-1 dai bianconeri. Viola venne gettato nella mischia per sostituire il Barone Causio, a sua volta erede del panzer Helmut Haller. Qualche settimana dopo, in seguito a un digiuno di alcuni anni, i bianconeri riconquistano lo scudetto. L’apporto di Nando Viola è minimo, ma essenziale.
Prodotto del vivaio bianconero, veste la maglia più importante a vent’anni e ci arriva in una giornata per concentrazione di eventi, anche atmosferici oltre che sportivi: il giorno nel quale la Juventus di Vycpálek capisce in pratica di potere e volere lo scudetto numero 14.
Il 12 marzo ‘72, al Comunale contro il Bologna: Nando Viola, elemento di spicco della Primavera, è chiamato a rimpiazzare niente meno che Causio già detto Brazil, a sua volta investito dei panni di Haller. “Esordire in Serie A – dice Fernando – è il miglior modo per prepararsi alla maggiore età. Certo, entrare nella Juventus in questo momento decisivo del campionato, è un’impresa. Prometto comunque il massimo impegno. Ho un po’ di emozione, ma sono sicuro che in campo tutto passerà”.
Piove a dirotto su Torino, il campo è un vero acquitrino: la compagine bianconera gioca bene, crea occasioni ma sono i felsinei a portarsi in vantaggio con Perani. Sembra impossibile poter risalire la china, ma la Juventus è coriacea e non molla mai, proprio come il suo allenatore. Nel giro di due minuti, 71’ e 72’, Anastasi e Marchetti rovesciano la situazione e la Vecchia Signora conquista due punti preziosissimi per continuare a inseguire quel sogno chiamato scudetto.
Così inizia la sua carriera juventina, non lunga ma nemmeno effimera e comincia in un modo che più bello non si potrebbe. Gran prova la sua, pur tra mille difficoltà contingenti. La grinta, il temperamento da veterano, abbinati a un tocco di palla che incanta la platea, definiscono l’atleta e il calciatore senza bisogno di altro.
Partendo da sinistra: nel Cagliari, nel Bologna e nel Genoa (figurine “Panini”)
Giocatore di talento, dotato di buona tecnica, fantasia e uno straordinario dinamismo, Viola è stato un antesignano del centrocampista moderno. Uomo di calcio, ma anche di lettere e di cultura. Il calcio ai massimi livelli, infatti, non gli impedì di coltivare la passione per gli studi: riuscì a laurearsi in lingue e fu uno dei primi nella storia del calcio italiano a diventare dottore.
Dopo la Juve, il prestito in B a Mantova, il ritorno alla casa madre – dove vide muovere i primi passi di un giovanissimo Paolo Rossi – poi il Cagliari, la Lazio, il Bologna, quindi ancora quattro stagioni in biancoceleste e l’epilogo – per diletto – a Subiaco, la squadra del paese di Ciccio Graziani. Infine, l’addio al calcio e quella tragica giornata,
Molti lo ricordano negli incontri in chiesa nell’appuntamento delle 18 con la messa vespertina del sabato in una piccola ma familiare chiesa sulla via Cassia. Già perchè Fernando era uomo di fede ed è lassù che lo immaginiamo continuare a giocare a pallone con quello sorriso e quella cortesia che hanno contribuito a lasciare un suo grande ricordo.