Anche il calcio senza dittatura
Apr 25, 2024

L’Equipe ha dedicato due bellissime pagine con un bellissimo bianco e nero al cinquantesimo anniversario della sollevazione dei partigiani contro la dittatura di Salazar in Portogallo, raccontato anche da un punto di vista calcistico.

 Il giornalista Régis Dupont è stato a Oporto, Coimbra e Lisbona per un reportage, cominciando la sua visita dal balcone del Museo della Gendarmeria, aperto ai visitatori per una mostra temporanea. “Uno dei rari luoghi della città – scrive L’Equipea non essere affollato dai turisti”.

Anche negli stadi i portoghesi chiedevano più libertà

Qui Marcelo Caetano, successore di Antonio Salazar alla guida della più antica dittatura dell’Europa occidentale, dovette rifugiarsi il 25 aprile 1974, trascinato dalla rivoluzione dei garofani che portava il suo nome: il regime dello Stato Nuovo fondato nel 1933 cadde come un fiore appassito.

Benfica 1973-74. In piedi, da sinistra: Eusébio, Vitor Batista, Jordão, Vitor Martins e Simoes. In basso, sempre da sinistra: Rui Rodrigues, Artur, Humberto Coelho, Toni, Adolfo e Bento

Ci furono cinque morti in tutto, in serata e a poche centinaia di metri di distanza: quattro vittime di proiettili sparati da scagnozzi della polizia politica, più uno di loro. La sera della giornata di liberazione era iniziata con la trasmissione alla radio Renascença della canzone Grandola, bandita dal potere.

António José Conceição Oliveira, noto come Toni

Anche il calcio entrava in un mondo nuovo. Ne è testimone l’ex centrocampista della nazionale Toni. Ricorda: “Abitavo a 60 metri dallo stadio Da Luz. Il tempo era nuvoloso, ci eravamo allenati la mattina e chiamai un amico ristoratore con il quale avremmo cenato quella sera, io e Humberto Coelho, compagno di squadra al Benfica. Aprì il locale solo per noi due. Le autorità chiedevano alla popolazione di restare a casa, ma non c’era un clima di guerra. I veicoli blindati in strada erano pochi, potevamo spostarci. Il giorno dopo andammo all’allenamento come previsto. Ma per una volta, nello spogliatoio, non parlavamo della prossima partita, perché sapevamo che le nostre vite sarebbero cambiate per sempre, saremmo usciti da una notte lunga più di quarant’anni”.

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