Rino decise di arruolarsi dopo una finta. Spostò impercettibilmente il corpo a sinistra senza toccare la palla che correva davanti a lui, e al difensore disorientato non restò altro che torcersi inutilmente senza costrutto, in uno spasmo corporeo disordinato e floscio, simile a quello di una buffa marionetta dei teatrini di Champ de Mars. E Rino finalmente si trovò solo, in quell’onirica solitudine tipica dell’ala calcistica, che avviene nel momento esatto in cui quest’ultima si svincola dal diretto marcatore e s’invola libera sulla fascia, in un imponderabile tempo sospeso, prima di effettuare il passaggio illuminante o il traversone fatale per gli accorrenti compagni.
.In molti avevano già preso le armi, perché il calendario recitava 1943 e Parigi era ancora occupata. In molti avevano aderito alle brigate cittadine partigiane, organizzate dal Partito Comunista Francese, conosciute anche come Manouchian.
Rino Della Negra – come racconta Simone Galeotti su Minuto Settantotto – aveva genitori italiani. La sua famiglia si era trasferita dal Friuli in Francia per lavoro, e qui Rino era nato il 18 agosto del 1923, in un borgo vicino a Calais chiamato Vimy, che purtroppo fa rima con Vichy; quando lui si era infilato la maglietta del Red Star, il governo collaborazionista del maresciallo Pétain era attivo nel sud del paese da almeno un paio d’anni.
I primi calci al pallone li aveva tirati ad Argenteuil, sulla collina di Mazagran, dove c’era una piccola colonia italiana e dove suo padre faceva il muratore. Bravo, troppo bravo il ragazzo. La Stella era uno dei migliori club francesi. La Stella aveva deciso di volerlo, e lui era andato.
Ma poi Rino imbracciò il mitra. Rino era un ragazzo determinato, coraggioso; in breve diventò fervente partigiano, un capogruppo, un punto di riferimento, prodigandosi per avvicinare il giorno tanto atteso della liberazione. Si servì dei magazzini dello stadio per nasconderci armi e documenti, e si servì pure della confusione del limitrofo mercatino delle pulci di Clignancourt, utilissimo per smarcarsi dagli stivali della Gestapo e dileguarsi fra la folla.
Red Star Paris, o anche Étoile Rouge. In fondo siamo a Saint Ouen, estrema periferia nord di Parigi, e qui il movimento operaio rappresentava veramente il cuore pulsante di una comunità che alla sera nascondeva il Capitale di Marx sotto un asse del pavimento, e qualche studente scriveva citazioni di Rousseau su volantini ciclostilati in proprio e appesi alle pareti delle fabbriche.
Dicono che il nome Red Star sia frutto di un’idea concepita in un caffè parigino alla fine dell’800 durante una conversazione fra i due principali soci fondatori, ossia il celeberrimo Jules Rimet e l’amico Ernst Weber. Qualcuno sostiene fosse un tributo al distintivo del cappello di Buffalo Bill, qualcun altro invece pensa che il duo abbia denominato così il club in quanto affascinati dalla rotta commerciale Anversa-New York, recante proprio questo appellativo. In realtà, se di fascino si trattava, pare dovuto a quello esercitato della giovane cameriera inglese di Rimet.
Una bella ragazza dagli intriganti capelli rossicci, della quale il futuro promotore della Coppa del Mondo con buona probabilità si invaghì. Non ci sono riscontri se l’idillio amoroso scoppiò da ambo le parti, in ogni caso sul campo di pallone sicuramente arrivò la Stella Rossa Parigi.
E vincerà. Vincerà ben cinque Coppe di Francia, l’ultima guarda caso nel 1942, con in squadra un certo Helenio Herrera, l’energico capitano Georges Meuris e il valente centravanti Roger Vandevelde.
Le ali nel calcio hanno un infantile esprit tutto loro. Possono fare la storia della partita che si portano dietro. Inutile citarle, inutile compiangerle. Puoi non capirle subito, alle volte devi ascoltarle e riascoltarle, come fossero un vecchio vinile di musica classica. Fanno sorridere, possono diventare l’incipit della squadra, possono creare dipendenza, facendosi inesorabile punto di riferimento nella nostra personale mappatura del rettangolo di gioco, perché sai bene che qualcosa da loro c’è sempre da aspettarselo, anche se non sempre si chiamano Best o Garrincha, ma semplicemente Rino.
Rino venne arrestato durante la fatidica operazione Affiche Rouge, insieme ad altri 23 compagni di lotta fra cui 5 italiani, mentre stavano mettendo le mani su un furgone portavalori tedesco. Subirono un processo sommario al Fort di Mont- Valèren, e lì furono tutti fucilati la mattina del 24 febbraio del 1944.
Si racconta che nello zaino di Della Negra fu ritrovata una lettera indirizzata a suo fratello, dove Rino aveva vergato sette parole, sette come il suo numero sulla maglia: “Addio, e salutami tutta la Stella Rossa”.