Un cross al bacio per il colpo di testa vincente di Pruzzo dopo 6’. Si giocava al San Paolo contro il Lussemburgo, questa l’unica traccia con la maglia della nazionale di Domenico Marocchino, estrosa ala destra che sembrava poter spaccare il mondo ma che in carriera ha forse ottenuto meno di quanto il suo talento promettesse. Cresciuto nel vivaio della Juve, dopo le esperienze con Junior Casale e Cremonese e l’esordio in A con l’Atalanta, fece ritorno alla casa madre bianconera dove visse 4 anni tra alti e bassi ma contribuendo alla vittoria di 2 scudetti e una Coppa Italia.
La sua stagione d’oro è stata la 1981-’82: a causa dell’infortunio di Bettega, la prima linea non era propriamente costituita da autentici e conclamati fuoriclasse: Marocchino, Tardelli, Galderisi, Brady e Virdis. Lo stesso Trapattoni confermerà: «Per me è stata una grossa delusione, aveva grandi doti e avrebbe potuto essere fondamentale per quattro o cinque anni, non per uno soltanto».
Un aneddoto: nella gara di ritorno con il Widzew Łódź, nella Coppa Campioni 1982-’83, in cui sostituì Bettega, fu accolto all’aeroporto di Varsavia da uno stuolo di ragazzine polacche entusiaste che esibivano un’incredibile striscione con la scritta (in italiano) “Marocchino, vieni a ballare con noi in discoteca”.
Ma lui a il Pallone racconta smentisce di essere stato distratto dalle donne: «Anche in assenza del mio avvocato, smentisco decisamente. Mi sono sempre allenato regolarmente, solo che il mio rendimento non è mai stato troppo costante! Il mio, era un ruolo faticoso che, talvolta, mi portava a fare qualche figura di troppo; per di più, dal punto di vista tecnico non ero ineccepibile e, spesso, mi trovavo a giostrare in posizioni che non mi si addicevano troppo. Anch’io, come tutti, ho dei rimpianti; se potessi tornare indietro, cambierei molti atteggiamenti e qualche scelta».
A Hurrà Juve altri aneddoti: «Il primo scudetto lo abbiamo vinto al Comunale all’ultima giornata contro la Fiorentina. Segnò Cabrini con un sinistro volante, ma il merito fu mio che gli feci un assist perfetto. Fu un’azione caparbia, la palla sembrava persa. La recuperai, la difesi e poi crossai al centro dell’area. Ma la cosa più bella la feci a fine partita. Fatta la doccia, me ne andai da solo nello spogliatoio del mio primo provino e mi fumai una fantastica Marlboro. Fumavo! Potevano essere tre al giorno come quindici. Il Trap era una bestia. Zoff una volta mi disse: “Moderati”. Quando Trapattoni iniziò a farmi giocare da titolare, ebbi l’illuminazione. Andavo a dormire un’oretta nel pomeriggio e iniziai a scalare le sigarette». Le donne però restavano il nervo scoperto: “Ero giovane, mica potevo pensare solo al pallone. Cercavo di divertirmi, ma l’ho passata liscia poche volte. Boniperti mi conosceva benissimo, da quando ero un ragazzino. Appena tornai, mi fece pedinare. Lui aveva una cerchia di persone, per lo più militari in pensione, che pagava per controllare i giocatori, soprattutto di notte».
Di multe ne ha pagate tante: «La più salata la volta che non mi sono svegliato ed ho dovuto inseguire il pullman della squadra. Dovevamo andare a Verona a giocare. Appuntamento come al solito al Comunale. Succede che non mi suona la sveglia. Trapattoni non mi vede arrivare, smadonna. È tardi, allora dice all’autista di passare da casa mia. Non sapevano dove abitavo di preciso. Mai dare indizi al nemico. Conoscevano il quartiere. Immaginate la scena: il pullman della Juve che ciondola per Torino per recuperare un giocatore.
Ma io stavo dormendo, quindi la comitiva prende l’autostrada per Verona. Io intanto mi sveglio, mi rendo conto che sono in ritardo e mi fiondo allo stadio. Non trovo nessuno, solo il custode che mi fa: “Devi raggiungere Verona con ogni mezzo”. Prendo l’autostrada e dopo un po’ raggiungo il pullman. La cosa buffa è che i miei compagni che stavano in ultima fila mi facevano con le mani il gesto dei numeri a indicare i milioni della multa. Qualcuno faceva otto, altri cinque, altri tre. Alla fine sono stati cinque, senza fattura. Un salasso. Boniperti mi disse soltanto: “Non ti sei fatto la barba”. Mi voleva bene. Ho fatto quattro anni alla Juve. Con la testa di oggi, ne avrei fatto come minimo il doppio. Mi è mancata la costanza. Quando scali la montagna, devi avere il coraggio di scendere. Ma io ho vissuto il calcio come uno sport, non come un lavoro. E sono un uomo felice».
Poi Marocchino passò a Sampdoria e Bologna prima di chiudere la carriera nei professionisti dopo un fugace ritorno a Casale Monferrato, nel 1988. Continua quindi in Interregionale con la maglia della Valenzana fino al 1992.
In carriera ha totalizzato complessivamente 131 presenze e 11 reti in Serie A, e 104 presenze e 6 reti in B. Nella stagione 1997-’98 ha allenato La Chivasso nel campionato piemontese di Eccellenza, lasciando la panchina a metà stagione. Oggi per lui c’è la nuova dimensione di opinionista televisivo.