Carlo Parola, scomparso nel 2000 all’età di 78 anni, ha collezionato solo dieci presenze nella Nazionale italiana, ma sarà ricordato a lungo come uno dei giocatori più eleganti e compiuti del suo tempo. Fu anche, a 26 anni, l’unico italiano nel Resto d’Europa che perse 6-1 contro la Gran Bretagna all’Hampden Park nel maggio 1947.
Questa è stata una partita in cui Parola è stato così sfortunato da mettere a segno il suo autogol per il quinto punto della Gran Bretagna. Eppure, in una squadra assemblata frettolosamente e composta da una pletora di nazionalità, si distinse per la sua disinvoltura e il suo cipiglio freddo. Ma soprattutto per la sua sforbiciata, oggi un’arma standard nell’armeria dei calciatori, ma al tempo una vera rarità.
Lo stesso Parola, che giocò più di trecento partite nella Juventus, amava ricordare: “Sono conosciuto per il mio famoso calcio volante di bicicletta, che ha aveva l’effetto di mettere gli avversari fuori dal loro gioco, visto che la palla veniva loro sferzata da sotto il naso quando pensavano di averne il pieno controllo Ero molto bravo nell’anticipare e nell’indovinare in anticipo le mosse dei miei avversari Mi sentivo pieno di energia, ma logicamente non potevo essere ovunque contemporaneamente quando il pericolo minacciava”.
Quando andò alla Lazio nel 1954, all’età di 33 anni, aveva ormai perso il ritmo; era triste vedere un giocatore così bravo che lottava per competere. A 38 anni tornò alla Juventus, società in cui si era distinto, come allenatore, affiancato dall’ex campione argentino Renato Cesarini.
La sua prima presenza in convocazione in Nazionale fu contro l’Ungheria a Torino nel 1942. Ma il suo esordio in azzurro arrivò nel novembre 1945, quando, a Zurigo, giocò contro la Svizzera in un pareggio per 4-4. Era di nuovo a Torino, nel maggio 1948, quando l’Inghilterra sconfisse l’Italia per 4-0, ma due anni dopo, al San Paolo di Napoli, incontrò la sua nemesi, nella forma del vigoroso centravanti svedese, Hans Jeppson.
Nei gironi di qualificazione ai Mondiali del 1950, l’Italia era stata sorteggiata contro gli svedesi e sulla carta era favorita nel battere una squadra penalizzata dalle partenze dei suoi fuoriclasse all’estero; principalmente in Italia.
Ma Jeppson fece vivere a Parola un momento torrido, segnando due volte e contribuendo in maniera decisiva alla vittoria per 3-2. Parola non avrebbe mai più giocato per il suo paese. Il giornalista e storico Antonio Ghirelli scrisse: “L’uomo di Glasgow, come veniva chiamato, rappresentava effettivamente l’esempio più completo del terzultimo difensore. Uscendo dalle fila della classe operaia del Nord, fu all’altezza della scuola tecnica e stilistica della Juventus: alto, snello e robusto di persona, estraneo a qualsiasi durezza nel contatto, più incline all’acrobatico e all’elegante, ricco di impegno e fair play, padrone del controllo di palla come pochi, cercò sempre il passaggio costruttivo, piuttosto che il passaggio frettoloso, non c’era un giocatore più armonioso di Parola. La sua debolezza, naturalmente esacerbata dal suo declino fisico, risiedeva semmai in un eccesso di sportività e in un certo elegante esibizionismo, entrambi difetti pregiudizievoli del gioco moderno”. Parola giocò 35 delle 38 partite con la Juventus, quando vinse il campionato italiano nel 1949-‘50, e 15 quando lo vinse di nuovo nel 1951-‘52.
La più famosa rovesciata di Parola nacque il 15 gennaio 1950, all’80’ di Fiorentina-Juventus, così rappresentata dalle parole di Corrado Banchi, giornalista freelance, autore di una memorabile fotografia: “(…) Parte un lancio di Magli verso Pandolfini. Egisto scatta, tra lui ed il portiere c’è solo Carlo Parola; l’attaccante sente di potercela fare ma il difensore non gli dà il tempo di agire. Uno stacco imperioso, un volo in cielo, una respinta in uno stile unico. Un’ovazione accompagna la prodezza di Parola”. Quella rovesciata è stata pubblicata in oltre 200 milioni di copie con didascalie in greco e cirillico, arabo e giapponese, ed è puntualmente riproposta ogni anno sugli album calciatori delle figurine Panini.
Mario Bocchio